Il 1986 è stato un anno incredibile per i frequentatori di sale giochi. Un anno dove alcuni giochi sono diventati icone di quel decennio incredibile. Partiamo insieme per questa chiacchierata e mi raccomando, non dimenticatevi le Mille Lire, autentiche protagoniste di quelle nostre incredibili ed indimenticabili giornate.
1986: mille lire, cinque gettoni
Il passo è deciso mentre l’aria è frizzante. Un bel sole si staglia nell’azzurro del cielo mentre qualche nuvola si rincorre cangiante. Nella nostra mente si accalcano mille pensieri, quelli di ogni adolescente che si rispetti. Tutto si ferma quando in lontananza iniziano a sentirsi le litanie dei cabinati: i nostri occhi e i nostri pensieri ora sono tutti li, a fissare quella scritta, quella porta. Una volta marcata la soglia si entra in un’altra dimensione, un posto magico dove la prima cosa che si faceva era dare il giusto valore ai pochi soldi che si avevano in tasca. Mille lire, cinque gettoni.. grazie.
Da giochi ad icone di un decennio
Un gioco che dettò legge nel 1986 e che negli anni si è guadagnato lo status di icona degli anni 80 è sicuramente Out Run. Ne abbiamo dato ampio respiro nel RetroMagazine World n°28 con un tributo doveroso al più famoso arcade racing game. Il primo gettone finiva immancabilmente dentro il suo fantastico cabinato, si trattasse anche solo della versione stand. Era il gioco ad essere stupendo e ad essere diventato un inno a quegli anni. Sega fece decisamente centro, legando il suo nome definitivamente e in maniera indelebile al decennio considerato come la “Golden Age” dei videogiochi.
1986: Bub e Bob fanno un bel botto
Una volta finito di sfrecciare con la nostra Testarossa è ora di fare una passeggiata tra i cabinati. L’aria si taglia col coltello, è stantia e il fumo delle sigarette ti entra nei vestiti. Una musichetta domina tra le molte che si mescolano insieme, quella musica ci guida ad uno dei coin op più famosi del mondo, nonché tra i più divertenti. Lo avete capito anche voi dove va a finire il secondo gettone, in quel Bubble Bobble che ridefinì il concetto di platform e diede un nuovo significato alla parola diabolico. Su RetroMagazine n°21 il nostro buon Nithaiah ce ne ha parlato in due pagine ricche di pathos e di storie di vita di quegli anni.
Taito quella volta fece un lavoro immenso, che solo dopo anni di gioco incessante può essere scoperto in toto. Fukio Mitsuji riuscì a partorire un gioco così ricco che i cento livelli giocabili erano solo una minima parte di quello che era contenuto in quella scheda. Bonus di ogni tipo che presi in un determinato ordine ne fanno uscire altri, schemi nascosti, finali multipli, punteggi segreti e misteri da decifrare: questo e molto di più è Bubble Bobble. Vi prometto che in uno dei prossimi numeri vi farò un articolo sui suoi misteri, è doveroso ed è il giusto tributo alle tantissime mille lire che ho speso per giocarci.
Mattoncini da rompere, storia da scrivere
Tear down this wall , la storica frase che Ronald Reagan pronunciò in quel di Brandeburgo nel 1987, era per molti videogamers una legge già nel 1986 e questo grazie ad Arkanoid. Parliamo di un gioco che anche chi non era un assiduo frequentatore delle sale giochi aveva visto almeno una volta in vita sua. La sua genesi arriva da lontano: l’ispirazione a Breakout, storico arcade datato 1976, è evidente nonché conclamata. Trentatré livelli in cui bisogna semplicemente abbattere tutti i muri di mattoni che ci si stagliano davanti. Per fare ciò usiamo la nostra astronave, chiamata Vaus, con la quale, muovendoci in orizzontale, dobbiamo lanciare e far rimbalzare la sfera e distruggere tutto. All’epoca era un autentico capolavoro: colorato e divertente, fu arricchito molto rispetto al suo illustre predecessore. Troviamo infatti mattoncini di vario tipo più o meno resistenti ma soprattutto una massiccia dose di bonus che rendono la partita una vera bomba! Questo fino ad arrivare al cospetto di Doh, un alieno dalle fattezze Moai , che divenne un pezzo di storia degli anni 80.
1986, quando Rambo divenne un’icona
Uno degli indiscussi eroi degli anni 80 era Rambo, interpretato dal mitico Sylvester Stallone , fulgido esempio di un nome che divenne identificativo di quel decennio. Dopo la prima bellissima pellicola del 1982, esce nel 1985 il secondo capitolo, che porta il personaggio al rango di leggenda. I ragazzi della SNK, memori del successo dell’anno precedente dell’arcade Commando, diedro alla luce Ikari Warriors. Il gioco è un tributo “non ufficiale” al Rambo del secondo episodio: il nostro sprite è lui, con muscoli in bella vista e fascia in testa a tenere i lunghi capelli. Questo quarto gettone è tutto per questo grandissimo videogame che ci vede precipitare in una giungla e ci vedrà impegnati in una missione quasi impossibile per portare a casa la pelle. Questo titolo porta con se un rivoluzionario sistema di controllo grazie al rotary joystick: grazie ad esso possiamo ruotare il personaggio su sé stesso in modo indipendente nelle 8 direzioni. La possibilità di giocare a fianco ad un amico rende il divertimento doppio.
Ovviamente il livello di sfida è tarato davvero alto: ci sono momenti che tra proiettili, granate, elicotteri e carri armati non si trova un angolo di schermo dove stare. Ma era una prassi dei coin op essere difficili al limite della follia, altrimenti come avremmo potuto inserire quel fiume di Coin necessari per arrivare alla fine?
I mondiali in Messico
Nel 1986 si svolsero anche i mondiali in Messico che videro i campioni in carica dell’Italia zoppicare e giocare un mondiale incolore: la squadra era ormai giunta al termine del suo ciclo. Passammo a pelo i gironi, pareggiando male con Bulgaria e fortunosamente con Argentina e vincendo per il rotto della cuffia con la Corea del Sud. Agli ottavi verremo buttati fuori dalla Francia in una partita a senso unico e Altobelli fu l’unico marcatore azzurro in quel brutto mondiale. Fortunatamente in sala giochi, grazie a Taito, potevamo ribaltare le sorti avverse e con in nostro ultimo gettone ci lanciamo sul cabinato di Kick and Run, popolarissimo gioco di calcio che da noi era quasi sempre presente in versione bootleg col nome Mexico 86.
Un gran bel gioco di calcio con visuale isometrico laterale, tempi da 45 secondi (ma cambiabili tramite switch su scheda), falli, rigori, punizioni e una grande quantità di colpi di gioco possibili. Una delle sue peculiarità era il portiere completamente manovrabile, col quale si poteva anche uscire palla al piede e rischiare di andare a segnare. Si poteva scegliere tra otto nazionali: Argentina, Brasile, Germania Ovest, Giappone, Inghilterra, Italia e Stati Uniti. Ogni squadra differiva per caratteristiche e punti di forza e le maglie di gioco non centravano nulla con quelle reali.
1986, sala giochi e il momento social
Mille lire, quello avevamo in tasca, ma con cinque gettoni avevamo di che divertirci. E ora che li abbiamo finiti che si fa? Nessun problema, quel magico universo fatto di cabinati colorati non aveva finito di emozionarci. Si faceva una passeggiata in rassegna di tutto quello che c’era da vedere e ci si divertiva anche a guardare un altro ragazzo giocare. Era facile fare altre amicizie in questo modo, oltre ad imparare qualche trucchetto che male non faceva. Era il nostro essere social, un modo più ruspante e anche più sano, perché il contatto umano è da sempre fondamentale nel percorso di crescita di un individuo.
Il proseguo del sogno
Il passo era lento, il tempo non aveva rilevanza per noi in sala giochi. Non ci si poteva non soffermare davanti a Rampage, un gioco tanto semplice quanto divertente giocato con uno o due amici. E che dire dell’ammirazione che si provava innanzi a cabinati monstre come quello di Darius? Tre schermi disposti in orizzontale per un vero e proprio sogno immerso in universi lontani, con i suoi Boss di fine livello a tema ittico-meccanico. E una colonna sonora di livello inarrivabile per quei tempi, composta dai Zunata e che divenne letteralmente immortale. Sega non ci fece mancare il cab a due ruote da affiancare ad Out Run, quell’Enduro Racer che faceva dell’aspetto acrobatico il suo punto forte. Sfruttando il motore grafico di Hang On, uscito l’anno precedente, i tecnici sega tirarono a lucido un gioco nuovo super divertente per gli amanti del cross e non solo! Nel pellegrinaggio tra i cab era obbligatoria una tappa ad ammirare le acrobazie che gli esperti sapevano fare a Rygar, un platform mozzafiato ad opera della Tecmo. Corse, salti, arrampicate a velocità luce, mentre con lo scudo chiodato si fa pulizia di nemici.
Riflessioni del Biker
A forza di frequentare le sale giochi si poteva divenire amici della figura mistica ed eterea del tizio che ci dava i gettoni. Era come raggiungere la vetta dell’Himalaya per noi. La cosa richiedeva pazienza e tempo: si doveva passare molto tempo appoggiati al bancone a prendere polvere fino al momento fatidico in cui, forse sfinito dalla nostra presenza, scappava un “Ciao”. Era il primo mattone verso l’olimpo, ovvero quando, pur di non vederci li, ci allungava un gettone. Eccoci allora correre a fare una partita al mitico Salamander, colossale seguito dell’immenso Gradius. Il sistema Power Up è stato semplificato, lo scrolling si alterna tra orizzontale e verticale e l’azione è livelli eccelsi. Oppure ci si univa a chi già stava correndo a Super Sprint, capolavoro targato Atari dove più che guidare una macchina si frullava il volante a destra e sinistra. Gare mozzafiato dove l’aspetto simulativo era inesistente ma che avevano nel divertimento più immediato la loro arma vincente. La sala giochi era pura magia, il nostro universo parallelo dove trasformarci nell’eroe di turno, dove grazie all’aspetto “social” vivo e diretto abbiamo conosciuto personaggi che sono diventati amici.
In quel magico 1986 uscirono un sacco di capolavori anche per i nostri sistemi domestici, giochi che lasciarono la loro impronta indelebile e diventarono icone di quella decade. Ne parlerò nel mio prossimo articolo, restate sintonizzati amici lettori. Mic the Biker vi saluta e vi consiglia qualche imperdibile retro-lettura!
One thought on “1986, la sala giochi”