RetroMagazine nr. 41 – Anno: 2023 – Autore: Leonardo Miliani
Ci siamo! Il periodo più “regaloso” dell’anno è arrivato! (L’articolo è uscito originariamente a Dicembre 2022 – NdFF) Chi rinuncerebbe a richiedere un bel regalo per Natale? Credo nessuno. E neanche i ragazzi del 1977 sarebbero stati capaci di non chiedere di farsi regalare quella nuova console da poco messa in commercio nientepopodimeno che dall’allora re dei videogiochi arcade, Atari. Sì, stiamo parlando dell’Atari VCS, che negli anni a seguire sarebbe divenuta famosa come 2600: una console capace di essere venduta in circa 30 milioni di esemplari e di essere rimasta in commercio per circa 15 anni. È vero, abbiamo già parlato della console nel n. 2 della nostra rivista ma questa volta vogliamo farlo un po’ più approfonditamente, analizzando con dovizia di particolari la storia di questa illustre retro-antenata.
Un po’ di storia
Nolan Bushnell nasce e cresce nello Utah. Mentre frequenta il college si guadagna qualche dollaro lavorando presso il parco di divertimenti Lagoon di Farmington, dove viene fatto responsabile delle macchine da gioco elettro-meccaniche operate a gettoni, formandosi una cultura non solo sul settore dei sistemi di intrattenimento ma anche facendo suo il concetto che le persone devono pagare per poter giocare. Dopo il college passa all’università, ed è proprio presso l’Università dello Utah di Salt Lake City, dove sta frequentando il corso di ingegneria, che entra in contatto con uno dei primissimi esempi di videogiochi della storia, Spacewar (fig. 2).
Si tratta di un rudimentale gioco a tema spaziale che gira su un PDP-1 collegato ad un monitor e controllato da un altrettanto rudimentale joystick ricavato da un telecomando per aeromodellismo. Nolan Bushnell resta folgorato dalle immagini che ritraggono 2 astronavi che si sparano cercando di distruggersi l’un l’altra. Bushnell, terminata l’università, si sposa e nel 1969 si trasferisce nella Silicon Valley, per chi non lo sapesse l’area del pianeta che a partire dalla seconda metà del secolo scorso è stata la patria della rivoluzione digitale e la sede di molte delle più grandi industrie hi-tech. In questo substrato che odora silicio in ogni dove, trova lavoro presso la Ampex, un’azienda che produceva sistemi per la registrazione audio/video su nastri magnetici. Qui conosce Ted Dabney, un ingegnere elettronico entrato a lavorare presso la Ampex nel 1961, dopo un paio di esperienze in altre società. Qui i due diventano amici ed iniziano a frequentarsi. Bushnell viene a sapere che allo Stanford Artificial Intelligence Laboratory, una sezione dell’università di Stanford, hanno realizzato una versione più ridotta di Spacewar basata su un PDP-11 e chiamata Galaxy Game: quest’ultimo è realizzato con un cabinato dove alloggia il computer, il monitor, i comandi per i giocatori e, cosa più importante, un sistema di avvio della partita a moneta. Bushnell mostra a Dabney Galaxy Game ed insieme iniziano a fantasticare sulla possibilità di creare un proprio business basato sugli allora emergenti videogiochi.
I due fondano la Syzygy nel 1971 e realizzano, verso la fine dell’anno, il loro primo arcade, “Computer Space” (fig. 3): si tratta di un gioco che riprende i concetti di Spacewar e Galaxy Game, con 2 astronavi mosse da altrettanti giocatori che devono fronteggiarsi in un ambiente spaziale. Rispetto ai due giochi da cui prende spunto, Computer Space è molto più economico essendo basato su una scheda madre con una serie di integrati che replicano solo il gioco in questione e non in un vero e proprio computer come gli altri sistemi. Distribuito da Nutting Associates, il gioco non riscuote però molto successo perché è difficile da giocare. Bushnell e Dabney propongono a William Gill Nutting, il capo di Nutting Associates, di realizzarne una versione semplificata, ma questi non accetta, per cui Bushnell e Dabney decidono di distribuirlo in proprio. Cambiato il nome all’azienda, che diviene Atari nel 1972, i due abbandonano l’idea di un seguito di Computer Space e, non appena vedono il gioco del tennis che è distribuito con la nuova console Magnavox Odyssey, ne realizzano un clone, grazie all’aiuto di Al Alcorn, un loro ex-collega di Ampex che convincono a seguirli nella neonata Atari. Il gioco viene messo in commercio come Pong, ed è un successo clamoroso! Viene velocemente esportato anche al di fuori degli Stati Uniti e ne vengono realizzate anche versioni domestiche. Alla fine del 1974, quando viene tolto dal commercio, sono stati venduti, dei soli arcade, 8.000 unità.
Il successo di Pong lancia l’azienda nell’orbita dei videogiochi, con altri titoli che rinforzano il nome Atari come leader indiscussa del mercato. Nonostante le ottime vendite, Bushnell deve però fare i conti con gli esorbitanti costi di sviluppo: per realizzare un gioco arcade ci vogliono circa 50/100.000 dollari, perché per ogni gioco viene sviluppato una scheda dedicata con decine, se non centinaia di integrati. Inoltre il gioco ha una vita veramente breve: se si tralascia il successo innaturalmente lungo di Pong, un arcade frutta incassi per pochi mesi, poi la concorrenza lo rende obsoleto e si deve partire con un nuovo progetto. Anche i giochi domestici hanno vita breve: quando un gioco ha successo, velocemente compaiono sul mercato numerosissimi cloni per cui, dopo poco, bisogna presentare qualcosa di nuovo per recuperare clienti. Per questo motivo Bushnell inizia a cercare un sistema per realizzare una base hardware che possa essere riutilizzato e non dover sviluppare nuovamente un sistema da zero. Verso la fine del 1973 Atari acquisisce la Cyan Engineering, una società di sviluppo di dispositivi elettronici con sede a Grass Valley e fondata da Steve Mayer e Larry Emmons, entrambi ex colleghi di Bushnell e Dabney ai tempi di Ampex. L’interesse per questa piccola azienda è dato dal fatto che Mayer ed un altro ingegnere di nome Ron Milner hanno già iniziato a studiare un sistema per giochi elettronici basati su nuovi dispositivi programmabili che stanno comparendo in quel periodo sul mercato, i microprocessori. Il problema di fondo sono i costi: le poche offerte ancora disponibili, principalmente Intel e Motorola, costano centinaia di dollari ad unità, che porterebbe il prodotto finale ad avere un prezzo di acquisto così elevato da collocarlo in una fascia di mercato accessibile a pochi. Atari, comunque, inizia le trattative con Motorola per il suo 6800.
Le cose cambiano nel 1975, quando MOS Technology presenta il 6502, una CPU che ha un costo di soli 25$. Mayer e Milner incontrano Chuck Peddle, capo gruppo dei progettisti che ha creato il 6502, ed iniziano le trattative. Venticinque dollari sono ancora molti e così Peddle gli svela che MOS sta sviluppando anche una versione ridotta della CPU che si chiamerà 6507. Atari e MOS giungono ad un accordo finale: per 12$ viene fornita una coppia di integrati, il 6507 ed il RIOT, un chip che verrà usato come gestore dell’input/output. Atari chiede anche un secondo fornitore per le CPU, e MOS suggerisce Synertek, che già produce in licenza i suoi chip. Nel contempo le contrattazioni con Motorola vengono terminate. Peddle suggerisce anche agli ingegneri di Atari di prendere contatti con Microcomputer Associates, una piccola azienda fondata da Manny Lemas e Ray Holt che ha fornito dei sistemi di debug a MOS e che ha prodotto anche il microcomputer JOLT, basato sul MOS 6502. Secondo Peddle, il JOLT potrà risultare utile come base per lo sviluppo della console. Ciò si verifica, perché Milner riesce a far girare una replica dell’arcade “Tank”, un gioco prodotto dalla sussidiaria Key Games, proprio sul JOLT.
Stella
Mayer e Milner iniziano perciò Lo sviluppo di un dispositivo che derivano in parte dal JOLT. Verso la fine del 1975 viene assunto Joe Decuir, appena uscito da Berkley, che ha già iniziato a lavorare in proprio sul 6502. Decuir inizia la fase di test del primo prototipo sviluppato da Mayer e Milner a cui affibbia il nome di “Stella”, dalla marca della sua bicicletta! Harold Lee, uno degli ingegneri al lavoro sul prototipo Stella, sa che presso Synertek, che ha un contratto come fornitore secondario dei chip di MOS, lavora una sua vecchia conoscenza, un brillante ingegnere di nome Jay Miner. Lee propone il nome di Miner per progettare un chip ausiliario per potenziare la nascente console. Atari si accorda con Synertek e Miner passa a lavorare al progetto Stella. Miner progetta il TIA, da Television Interface Adaptor, che viene usato per generare il segnale video e gli effetti sonori. Agli inizi del 1976 Stella è ultimata: essa si compone della CPU 6507, del TIA, del RIOT e di un connettore per collegare le cartucce dei giochi. Mentre Alcorn si occupa dell’addestramento degli sviluppatori dei giochi presentando le caratteristiche tecniche della macchina, Bushnell inizia ad occuparsi della commercializzazione: assume Gene Landrum, un consulente che ha già lavorato con Fairchild e sulla sua futura console Channel F, il quale deve stilare un rapporto su cosa sia richiesto alla console per potersi imporre sul mercato. Nel suo rapporto Landrum indica che la console debba essere un oggetto esteticamente accattivante e possibilmente rifinito in legno per poter adattarsi ai salotti delle famiglie, e le cartucce devono essere “a prova di idioti e di bambino”, ad indicare che chiunque deve essere in grado di maneggiarle ed inserirle. Per la progettazione di queste ultime vengono assunti James Asher a Douglas Hardy: quest’ultimo ha lavorato presso Fairchild proprio alla progettazione delle cartucce della Channel F. Asher e Hardy progettano una cartuccia con un contenitore il cui design viene influenzato da quello delle cartucce della Channel F.
Atari VCS
Mentre i lavori procedono, Bushnell inizia ad accorgersi che lo sviluppo della console sta costando più del previsto. Purtroppo i soldi in cassa non sono molti, perché nel 1974 Atari ha quasi rischiato il fallimento. Ciò è stato dovuto in parte al gran successo di Pong, che ha portato un sacco di altre aziende a saturare il mercato con l’immissione di numerosi cloni, facendo calare drasticamente le vendite. Un altro problema è stata la messa in vendita del gioco arcade “Gran Trak 10” ad un prezzo inferiore al costo di produzione, bruciando circa 500.000 dollari! Altri soldi sono stati persi per aprire una sede in Giappone, rivenduta poco tempo dopo a Namco. Alla fine solo l’acquisizione di Kee Games, una società prestanome fondata dallo stesso Bushnell e gestita da un suo amico, creata solo per offrire i giochi Atari con un altro marchio, che ha realizzato un campione di incassi quali “Tank”, è riuscita a riportare un po’ di liquidità nelle casse di Atari, ed a salvarla dal fallimento. Bushnell prova a trovare dei finanziatori ma la ricerca è infruttuosa. Apre quindi una trattativa con Warner Communications, a cui vende l’azienda nel 1976 per 28 milioni di dollari. Warner, vedendo il potenziale di questo nuovo mercato dei videogiochi che si sta creando, decide di investirci pesantemente: infonde infatti nelle casse di Atari circa 120 milioni di dollari per portare avanti lo sviluppo di Stella, che viene terminata agli inizi del 1977.
La presentazione ufficiale slitta però al 4 giugno del 1977 perché, per via degli accordi con Magnavox derivanti dall’infrazione dei brevetti sul Tennis della Odyssey clonato con il Pong, Atari deve dar conto alla rivale di ogni gioco che sviluppa fino al 1 giugno del 1977: la console viene presentata come Video Computer System, abbreviata VCS, durante il Consumer Electronic Show. Per problemi emersi durante la produzione dei primi esemplari, però, la commercializzazione inizia solo ad ottobre: il prezzo di lancio è di 199$, ed inclusi nella confezione, oltre al corpo macchina, ci sono 2 joystick, 2 paddle e la cartuccia del gioco “Combat”. Oltre a questo vengono messi in commercio altri 8 giochi, per la maggior parte conversioni dei giochi arcade di Atari o di Kee Games.
Il successo
Il 1977 termina con poco meno di 400.000 unità vendute, un numero discreto ma non eccelso, causato non solo dall’enorme numero di giochi elettronici portatili in circolazione in quel periodo ma anche ad una commercializzazione iniziata relativamente tardi. Nonostante gli accordi con la catena di negozi Sears, che offre di vendere la console in tutti i suoi punti vendita in cambio della possibilità di offrirla con il proprio nome, le cose non vanno bene: il 1978 viene chiuso con circa 800.000 unità prodotte ma di queste solo 550.000 raggiungono l’abitazione di un giocatore. Nel 1979 Atari vende 1 milione di unità, ma la concorrenza si fa agguerrita: arrivano la Magnavox Odyssey2 (o Philips Videopac a seconda dei mercati) e, soprattutto, il Mattel Intellivision, che offre caratteristiche video e audio superiori. L’Atari VCS non brilla per la qualità dei suoi giochi: per contenere i costi produttivi le scelte tecniche fatte si ripercuotono su ciò che la console può offrire. Per questo motivo, Atari decide di cambiare strategia di marketing: contratta con i produttori dei videogiochi da bar più famosi il “porting” dei loro titoli in esclusiva per la sua console. Il primo titolo che si assicura è il famosissimo “Space Invaders”, che presenta nel 1980. La strada è quella giusta: terminata la partita al bar, chi vuole giocare a “Space Invaders” anche a casa non ha altra scelta che acquistare l’Atari VCS. E così le vendite si impennano: nel 1980 sono 2 milioni le console commercializzate, che raddoppiano l’anno seguente, raggiungendo nel complesso quota 10 milioni di unità vendute.
Nel 1981 debuttano sulla console altri famosi giochi quali “Asteroids” e “Missile Command”, conversioni dei rispettivi arcade, che vendono milioni di cartucce l’uno. Ma è il 1982 l’anno migliore per la console. Atari tratta la conversione di “Pac-Man” e, con una grande strategia di marketing, inizia una campagna pubblicitaria milionaria molto tempo prima del rilascio del gioco, creando una fortissima aspettativa e la corsa all’acquisto della console per prepararsi all’uscita del gioco: in quell’anno, la console viene venduta in 12 milioni di unità, e la cartuccia di “Pac-Man” risulta in assoluto il gioco più venduto, con più di 7 milioni di copie acquistate nel solo 1982. A questo si aggiungono altri titoli di successo quali le conversioni di “Defender”, “Centipede”, “Frogger” ma anche titoli in esclusiva come “Yar’s Revenge”.
La forza economica e commerciale di Atari riesce a far breccia anche nel mondo del cinema: Atari si aggiudica la conversione in gioco del famoso film “I Predatori dell’arca perduta” di Steven Spielberg. Forti del buon riscontro ottenuto con questo gioco, Atari ritenta l’operazione con un altro film di successo al botteghino, sempre di Spielberg, “E.T. l’extraterrestre”, riscuotendo inizialmente un buon riscontro commerciale (il titolo verrà venduto in più di 1,5 milioni di copie) anche grazie alla fama della pellicola.
La console viene venduta con discreti numeri anche all’estero. Nel 1980 viene commercializzata in Gran Bretagna (fig. 5), nel 1982 in Francia, nel 1983 in Italia, nel 1984 in Germania. Le limitazioni hardware vengono bilanciate dall’enorme parco giochi: nonostante console tecnologicamente superiori uscite in quel periodo, ad esempio il ColecoVision del 1982, nessuna può vantare il numero di giochi della VCS. Sempre nel 1982 viene presentata l’erede della VCS: nata per restare in commercio per soli 3 anni, la vita utile della console è stata allungata grazie alla sua diffusione ma la concorrenza si fa sentire sempre di più e in Atari decidono che è tempo di pensionarla con l’Atari 5200, console basata sull’hardware dei computer ad 8 bit di Atari. È con l’uscita della 5200 che la VCS viene ridenominata in 2600, riprendendo il nome in codice con cui era inizialmente noto il suo prototipo, CX2600, prima di divenire Stella.
La crisi del 1983
Il 1983 inizia non con i migliori auspici, le vendite record iniziano a calare. Il mercato dei videogiochi vede l’ingresso anche degli home computer che, a partire dai primi anni 1980 iniziano a fare una agguerrita concorrenza alle console, forti di una maggior duttilità (possono essere usati anche per altri compiti, oltre a quelli videoludici) nonché di caratteristiche tecniche alle volte superiori. Il successo della 2600 è poi così eclatante che molti competitori non riescono ad arginare: la stessa Coleco, nonostante la sua console sia tecnicamente superiore, deve alzare bandiera bianca ed inizia a vendere sia un adattatore per poter far girare i giochi per la sua console su quella di Atari sia un sistema denominato Gemini che in pratica è un clone della VCS. I giochi per la 2600 arrivano da ogni parte, non solo da Atari: data la diffusione della console, tutti vogliono produrre titoli per essa. I primi sviluppatori indipendenti sono stati alcuni ex-programmatori Atari che hanno lasciato la società nel 1979 perché non si sentivano né remunerati proporzionalmente al frutto del loro lavoro né venivano accreditati come autori dei giochi prodotti: essi fondano la Activision, che inizia le sue attività sviluppando giochi per la 2600. I titoli prodotti da Activision sono molto curati e ottengono un grande successo, ad esempio, il già citato “Pitfall!”, un gioco originale non derivato da un arcade, che vende 4 milioni di cartucce. Altri produttori si gettano sulla 2600 ed iniziano a sfornare giochi di qualunque genere e, purtroppo, di dubbia qualità. Il mercato si satura letteralmente e le vendite iniziano a crollare.
La crisi in Atari inizia a farsi sentire, anche a causa di un paio di titoli usciti l’anno prima, ossia “Pac-Man” (fig. 6) ed “E.T.”: nonostante i soldi spesi per la promozione essi non rendono come dovrebbero. Il primo paga l’inferiorità tecnologica della console rispetto all’arcade mentre il secondo la fretta nel realizzarlo per farlo uscire entro Natale. Pac-Man vende poco più di 7 milioni di cartucce contro una previsione di quasi il doppio mentre il secondo solo 1,5 contro le 5 preventivate. Anche le vendite della console vanno a rilento e così, a metà del 1983, Atari annuncia perdite per più di 500 milioni di dollari.
Non è purtroppo la sola, tutto il sistema collassa: è la crisi dei videogiochi del 1983 che colpisce il nord America. Atari è costretta a disfarsi di più di 700.000 cartucce in una discarica di Alamogordo, in Nuovo Messico: col tempo questo evento assume, fra smentite e conferme, i tratti di una leggende metropolitana ma scavi condotti nel 2014 confermano che Atari ha mandato realmente al macero molto materiale invenduto (fig. 7). Warner riduce enormemente gli investimenti e, agli inizi del 1984, smembra la società vendendo il reparto home computer e console a Jack Tramiel, che aveva lasciato la Commodore, per creare la Atari Corporation.
Dopo il 1984
Terminate le trattative e riassettata la società, la 2600 non viene tolta dal mercato ma resta in vendita come sistema da gioco di fascia bassa ad un prezzo sui 40/50 dollari: d’altronde, ci sono ancora centinaia di giochi in circolazione e la console continua a vendere. Nel 1986 la console viene rivista e dotata di un contenitore più compatto che, nonostante non venga interessata ufficialmente da un cambio di nome, diviene nota a tutti come 2600 Junior. La Junior continua comunque a ricevere sostegno da parte dei produttori di videogiochi: la stessa Atari continua a supportare la console, cessando la produzione dei giochi nel 1990 e la produzione nel 1991. Il sipario cala ufficialmente il 1° gennaio 1992, quando la 2600 non compare più nei listini della società.
Il vuoto lasciato dalla 2600 è stato però velocemente colmato. La sua fama è rimasta nei cuori di molti per cui l’interesse per riportare in commercio qualcosa di legato alla console c’è stato. Si sono visti alcuni esperimenti come l’Atari Classics 10-in-1 TV Game, una replica della 2600 integrata in un joystick in stile 2600 collegabile al televisiore con all’interno integrati 10 dei più famosi giochi originali. Oppure il TV Boy, uscito negli anni 1990, un gamepad collegabile anch’esso alla TV di casa con un centinaio di giochi integrati. Più recentemente, con il ritorno di interesse per tutto quello che è retrò, la stessa Atari (o per meglio dire una sua erede) ha rilasciato a partire dal 2004 una serie di repliche più o meno fedeli denominate Flashback, per far assaporare anche ai giocatori moderni la bellezza “pixellosa” dei giochi dell’originale 2600.
Il nome VCS è stato riutilizzato per l’Atari VCS, una console presentata nel 2021 e venduta per ora in pochi Paesi (Australia, Nuova Zelanda, USA e Canada), forse in arrivo in Europa (fig. 8). A dispetto di quel che potrebbe far pensare il nome, questa console non ha niente a che spartire con la 2600: è un sistema basato su una distribuzione Linux che si collega ad uno shop online da cui si possono acquistare versioni adattate di una selezione di giochi originariamente sviluppati per l’Atari 7800.
Caratteristiche tecniche
La console viene messa in vendita con un contenitore in plastica nera dal profilo basso, leggermente rialzato nella parte posteriore dove sono alloggiati gli interruttori di controllo e la porta per l’inserimento delle cartucce. Le rifiniture sono in legno, perché lo stile ed il gusto di allora considerano le console come oggetti d’arredamento per cui essi devono adattarsi il più possibile all’ambiente domestico.
Come detto in precedenza, la console è stata sviluppata intorno al MOS 6507 (fig. 9), una versione ridotta del più noto 6502 da cui si differisce per avere solo 13 linee di indirizzamento e per l’eliminazione di altri piedini con funzioni non utilizzate sulla 2600. Il risultato è un integrato con soli 28 pin, quindi più compatto e meno costoso da produrre. Il costo da pagare, però, è l’impossibilità di gestire più di 8 KB di memoria a causa del ridotto bus indirizzi: quando la console è stata progettata, questo limite non era reputato limitante perché negli anni 1970 le memorie costavano molto e fin dall’inizio era stato previsto che la console non ne avesse molta in dotazione. Inoltre, la vita della console era stata reputata essere di al massimo 3 anni per cui ci si aspettava che le memorie calassero di prezzo prima di sviluppare il suo successore.
A fianco della CPU c’è il TIA, progettato da Jay Miner. Questo chip gestisce principalmente la generazione del segnale video ed audio. Riprendendo quanto detto qui sopra, a causa del costo della RAM, la console non è stata dotata di una buffer video per cui il programmatore deve fornire al chip grafico i dati per disegnare ogni singola linea di scansione dell’immagine. Questo modo di operare è stato definito “race the beam”, che si potrebbe tradurre come “rincorrere il raggio”: per ogni linea, vanno passati i dati degli oggetti dello sfondo e dei vari sprite. A proposito di questi ultimi, il chip ne supporta 5: due “player”, due “missile” e una “ball”. I nomi sembrano buffi ma riflettono sia per cosa sono usati sia le differenze che mostrano: i “player” sono monocromatici e composti da una riga orizzontale di 8 bit, anche se possono essere ridotti o allargati; i “missile” sono larghi 1, 2, 4 oppure 4 pixel e sono dello stesso colore del giocatore corrispondente; la “ball” è una riga di 1, 2, 4 oppure 8 pixel, dello stesso colore del campo di gioco. Quest’ultimo è detto “playfield” ed è un oggetto monocromatico largo 20 bit (dove ogni bit copre 4 pixel sullo schermo) che sovrasta lo sfondo e che copre la metà sinistra di una riga dello schermo, con la possibilità di essere duplicarlo o riflesso sull’altra metà. Siccome tutti gli oggetti (sprite e playfield) sono alti 1 solo pixel video, per creare oggetti bidimensionali i programmatori ad ogni riga di scansione dell’immagine devo rispedire al chip tutti i dati necessari. Il TIA gestisce le collisioni fra gli sprite mediante l’uso di registri, che sono usati anche per gestire il colore e le posizioni dei vari oggetti. Il TIA genera un’immagine grafica di 160×192 pixel. La tavolozza è di 128 colori (16 colori per 8 tonalità) per il chip in versione NTSC e PAL-M (il sistema usato in Brasile), che scendono a 104 colori (13 colori per 8 tonalità) per il sistema PAL standard, e ridotti a soli 8 colori (senza differenti livelli di luminosità) nel caso del chip in versione SECAM.
Il TIA è responsabile anche della generazione del suono della console: le sue capacità sono abbastanza limitate, potendo gestire solo 2 canali audio ognuno con 32 toni e 16 livelli di gestione dell’onda, ed un controllo del volume di 4 bit.
A supporto troviamo un MOS 6532 RIOT, sigla che sta per RAM-I/O-Timer. Questo integrato fornisce la poca RAM disponibile per la console: esso contiene infatti 128 byte che viene usata dai giochi per memorizzare dati del gioco quali i punti e le vite del giocatore, variabili del gioco e quant’altro. Oltre a ciò offre un timer programmabile e 2 porte di input/output bidirezionali ad 8 bit, che sono usate per leggere i controller gioco collegati alla console e gli interruttori di stato. Parlando di questi ultimi, la console riprende un po’ le caratteristiche di quelle della prima generazione dei sistemi di gioco, con alcune leve frontali per modificare alcune impostazioni della console: la prima versione ha 6 leve, rispettivamente per l’alimentazione, la scelta fra uscita video a colori o in B/N, il livello di difficoltà del gioco per il giocatore di sinistra e di destra, la selezione del gioco nel caso di cartucce con più giochi e il reset dell’hardware.
I controller di gioco forniti con la console sono di due tipi: 2 classici gamepad con encoder rotativo, eredità dei giochi simil-Pong degli anni precedenti, ed un più versatile joystick con un solo pulsante di fuoco (fig. 10). In commercio compaiono successivamente anche controller più complessi come dispositivi studiati per i giochi di guida. L’adozione della “porta giochi Atari”, così come viene comunemente chiamata il connettore per collegare il joystick, sui computer Atari ad 8 bit ne facilita la diffusione tanto che diventa uno standard de-facto, venendo adottata da tanti altri sistemi quali i computer Commodore VIC-20, C64 e C128, gli MSX, e successivamente dagli Atari ST e dalla serie Amiga. Esistono anche adattatori per usarli sull’Apple II, sul TI-99 e sugli ZX Spectrum.
Le cartucce giochi sono piccole schede elettroniche inserite in un contenitore di plastica che va inserito in un apposito vano sulla parte superiore della console. Per ridurre ulteriormente i costi, delle 13 linee di indirizzamento permesse dalla CPU, sul connettore ne vengono riportate solo 12 per cui la memoria massima gestibile scende a 4 KB. Se inizialmente questo non è un grosso problema, perché i primi giochi risiedono in soli 2 KB di ROM, col tempo la complessità degli stessi aumenta e le grafiche, il sonoro ed il codice crescono di conseguenza con il risultato che i giochi più recenti necessitano di cartucce più grandi di 4 KB: per permettere alla CPU di poter leggere tutti i dati memorizzati vengono adottati sistemi di bank switching per poter gestire più chip di memoria all’interno delle cartucce.
Versioni
La prima versione della console è stata realizzata con una plastica particolarmente pesante che, unita al peso della schermatura, danno l’impressione che il contenitore sia pieno anche se in realtà è quasi completamente vuoto dato che la scheda elettronica, vista la semplicità del progetto, è molto piccola. Questa versione, per il suo peso e per i 6 interruttori, viene chiamata informalmente “heavy sixer”. Contemporaneamente, Sears rilascia la console con il proprio marchio ma chiamandola “Video Arcade”.
Per ridurre i costi di produzione, nel 1978 la produzione viene spostata a Taiwan e la console adotta una plastica meno spessa, risultando quindi più leggera e venendo indicata come “light sixer”.
La terza versione presenta superiormente solo 4 interruttori perché i 2 di selezione delle difficoltà dei giochi, non molto usati, sono stati spostati posteriormente.
Nel 1982 la console viene ribattezzata 2600 per riprendere la nomenclatura basata sui numeri adottata con la presentazione della sua erede, la 5200. Questa versione vede l’eliminazione degli inserti in radica e l’adozione di un contenitore in plastica completamente nera, per cui fra gli appassionati ha preso l’appellativo di “Vader version”, da Darth Vader, il nome del cattivone di Guerre Stellari (Star Wars), in Italia conosciuto anche come Dart Fener, e noto per la sua tuta tutta nera.
Nel 1983 viene presentata in Giappone e qui viene adottato il nome di 2800. La console differisce molto dalla versione americana, presenando un aspetto molto più formale con gli interruttori sostituiti da altrettanti pulsanti. La console non riscuote un grande successo perché uscita un anno dopo il Nintendo Famicon (che di lì a poco verrà esportato come Nintendo Enterainment System, NES). Dopo il ritiro dal mercato giapponese, la 2800 viene messa in commercio negli USA da Sears come Video Arcade II.
Dopo l’acquisizione da parte di Jack Tramiel, nel 1986 la console viene rivista e offerta come sistema economico di fascia bassa: per contenere i costi viene adottato un contenitore più ridotto nelle dimensioni e con una fascia metallica frontale. Questa versione è nota come 2600 Jr. (fig. 11) e prende gli appellativi di “large rainbow” e “short rainbow” a seconda delle versioni, che presentano una banda multicolore più o meno lunga sulla fascia metallica.
Giochi
La forza dell’Atari 2600 è stata la sua estesa collezione di giochi: all’epoca nessuna console poteva vantare un catalogo di titoli come quello della 2600. Si parla di un numero compreso fra 500 e 1.000, che permette alla console di offrire giochi che incontrano i gusti di qualunque videogiocatore, e di rappresentare una valida alternativa ai sistemi tecnologicamente più evoluti, che pesa al momento della scelta della console da acquistare. La forza della 2600 è infatti quella di poter contare non solo su titoli originali come “Yar’s Revenge”, “Adventure”, “Raiders of the Lost Ark” ma anche e soprattutto su conversioni esclusive dei più famosi giochi arcade del periodo, quali “Space Invaders”, “Asteroids”, “Pac-Man”, “Defender”, “Missile Commando”, “Ms. Pac-Man”, “Centipede”, “Breakout”, “Frogger”. Chi vuole giocare a questi titoli a casa propria deve per forza possedere la console Atari.
C’è un po’ di tutto, nel catalogo di Atari. Anche giochi assurdi o di dubbia moralità, come quelli prodotti da un paio di software house a tema prettamente sessuale: si può parlare veramente in questo caso dei primi giochi porno della storia. Insomma, il videogiocatore non ha che da scegliere. E difatti, quando la console inizia a perdere terreno nei confronti delle rivali, Atari spinge sulla gamma di titoli che la 2600 può offrire ai suoi acquirenti.
Non è però tutt’oro quello che rilascia Atari. Come già detto, ci sono stati alcuni flop piuttosto cocenti. “Pac-Man” è stato sì venduto più di 7 milioni di unità ma si stima che ne siano state prodotte ben 12 milioni, con un invenduto quindi di 5 milioni di pezzi! Senza contare le folli spese sostenute per la campagna pubblicitaria per la promozione del gioco. Anche “E.T.” è stato additato come uno dei giochi responsabili del crack Atari: giudicato in maniera pessima da molte riviste e analisti del settore, viene considerato come il peggior videogioco mai realizzato. Nonostante la scarsa qualità ha comunque venduto 1,5 milioni di unità ma a fronte, però, di un invenduto di circa 2,5 milioni di cartucce. A queste cifre vanno sommati i costi sostenuti per l’acquisto dei diritti del film: si parla di più di 20 milioni di dollari. Un esborso che già all’epoca era considerato folle.
Conclusioni
L’Atari 2600 è stata una console che ha segnato un’epoca. La sua uscita ha rivoluzionato il mercato dei videogiochi: la sua diffusione ha sdoganato le console domestiche facendole diventare un accessorio comune. La sua popolarità è stata anche lo sprone che ha dato il via al settore degli sviluppatori di giochi indipendenti: fino al suo arrivo, infatti, i giochi erano realizzati esclusivamente dai produttori dell’hardware stesso. Con la 2600, molte aziende come Activision hanno iniziato a dedicarsi esclusivamente alla realizzazione di videogiochi. Così tanti videogiochi che il mercato si è saturato, con titoli scadenti e non a farsi concorrenza fra di sé, fino al punto in cui nessuno comprava più nulla perché tutti ormai avevano tutto. Nonostante questo, i suoi numeri sono stati incredibili anche durante la crisi: anche i titoli che sono considerati parte in causa di ciò che è accaduto nel 1983, come “Pac-Man” e “E.T. The Extra-terrestrial”, hanno comunque venduto milioni di copie ciascuno.
Alla fine la 2600 è rimasta in commercio fino al tutto il 1991: ben 14 anni di onorato servizio, durante i quali gli sviluppatori non hanno cessato di sfornare giochi per una console che, nonostante i suoi limiti tecnologici, è divenuta iconica.