RetroMagazine nr. 47– Anno: 2024 – Autore: Leonardo Miliani
Nel 1981 inizia lo sviluppo di un nuovo sistema pensato esclusivamente per il gioco che, dopo alterne vicende, viene riconvertito in un computer vero e proprio. Questo computer viene messo in commercio per sostituire il suo affermato predecessore: non solo fa meglio, diviene esso stesso un best-seller registrando numeri sensazionali e divenendo il computer che ha venduto come nessun altro. Stiamo parlando del Commodore 64, confidenzialmente noto come C64 (fig. 1).
La Commodore prima del C64
Jack Tramiel, un sopravvissuto polacco dei campi di sterminio nazisti emigrato negli Stati Uniti dopo il secondo conflitto mondiale, fonda nel 1954, insieme a Manfred Kapp, la Commodore Business Machines (CBM). I due si sono conosciuti mentre lavoravano insieme alla Ace Typewriter Repair Company, una ditta che ripara macchine da scrivere: dopo qualche anno di lavoro come dipendenti, decidono di mettersi in proprio riparando e vendendo macchine da scrivere usate o ricondizionate. Con Tramiel rimasto solo al comando dell’azienda, dopo alterne vicende la Commodore entra nel mercato delle calcolatrici e successivamente, a metà degli anni ‘70 del XX secolo, in quello dei computer, realizzando uno dei tre membri di quella che è nota come la “trinità del 1977”, il PET: questo si contende il nascente mercato dei personal computer insieme al TRS-80 ed all’Apple II. Le vendite vanno bene: il PET conquista il gradino più alto del podio grazie alla varietà dell’offerta che soddisfa non solo l’utenza domestica ma anche la piccola azienda per via della possibilità di avere anche modelli con schermi ad 80 colonne.
La Commodore prima del C64
Jack Tramiel, un sopravvissuto polacco dei campi di sterminio nazisti emigrato negli Stati Uniti dopo il secondo conflitto mondiale, fonda nel 1954, insieme a Manfred Kapp, la Commodore Business Machines (CBM). I due si sono conosciuti mentre lavoravano insieme alla Ace Typewriter Repair Company, una ditta che ripara macchine da scrivere: dopo qualche anno di lavoro come dipendenti, decidono di mettersi in proprio riparando e vendendo macchine da scrivere usate o ricondizionate. Con Tramiel rimasto solo al comando dell’azienda, dopo alterne vicende la Commodore entra nel mercato delle calcolatrici e successivamente, a metà degli anni ‘70 del XX secolo, in quello dei computer, realizzando uno dei tre membri di quella che è nota come la “trinità del 1977”, il PET: questo si contende il nascente mercato dei personal computer insieme al TRS-80 ed all’Apple II. Le vendite vanno bene: il PET conquista il gradino più alto del podio grazie alla varietà dell’offerta che soddisfa non solo l’utenza domestica ma anche la piccola azienda per via della possibilità di avere anche modelli con schermi ad 80 colonne.
Nel 1979, però, accade un fatto strano: compare sul mercato VisiCalc, il primo foglio di calcolo elettronico (spreadsheet) per computer, pubblicato per l’Apple II. Il programma diventa un successo istantaneo: tutte le aziende lo vogliono per semplificare la gestione dei propri conti. Essendo un programma inizialmente disponibile solo per l’Apple II, le persone iniziano a comprare questo computer per poter usare VisiCalc. L’Apple II ha anche un altro punto a suo vantaggio: il colore, che manca al PET che genera immagini monocromatiche. Anche il TRS-80 è monocromatico e, per questo, Tandy-Radio Shark, presenta nel 1980 un nuovo computer capace di generare un’immagine a colori, il TRS-80 Color Computer. Nonostante le non brillanti capacità di questo computer, riesce a vendersi comunque discretamente bene grazie al fatto che, essendo un prodotto di Tandy, è disponibile nella sua catena di negozi Radio Shark, che conta migliaia di punti vendita in tutti gli Stati Uniti. Essendo i prezzi dei componenti hardware dei computer in calo, Tramiel decide di entrare nel settore dei computer domestici (home computer) realizzando una macchina a basso costo, capace di immagini a colori e destinata ad un’utenza inesperta, quindi vendibile non solo nei negozi di elettronica ma anche nei grandi magazzini o nei negozi di giocattoli. Nel 1981 viene commercializzato il VIC-20 (fig. 2), un computer collegabile ad un comune televisore domestico e capace di generare immagini a colori e suoni più complessi rispetto ai bip emessi dai PET dotati di altoparlante interno. Il prezzo di circa 300 dollari ne decreta l’immediato successo: il VIC-20 è il primo computer nella storia dell’informatica a raggiungere il milione di esemplari venduti.
Un nuovo chipset
Come ogni azienda che si rispetti, messo in commercio un prodotto si pensa subito al successivo, e così fa la Commodore. Bisogna però fare i conti con una situazione non certo tranquilla all’interno dell’azienda: nonostante il successo del VIC-20, il PET segna ancora ottimi incassi e Tramiel non sembra deciso a toglierlo dal mercato. Questo crea dello scontento: c’è, infatti, una corrente dissidente di diversi ingegneri e dirigenti che non vede di buon occhio il fatto che l’azienda sia orientata prevalentemente verso le macchine da ufficio come il PET e preme per perseguire la strada aperta con il VIC-20, ossia quella di produrre soprattutto macchine destinate ad un’utenza più domestica. Oltretutto, il creatore del PET, Chuck Peddle, se n’è andato di recente, dopo essersi scontrato direttamente con Jack Tramiel proprio per via del VIC-20: Tramiel, infatti, ha bocciato il progetto TOI (The Other Intellect) che Peddle aveva presentato per farlo diventare il futuro VIC-20, privilegiandone un altro. Andandosene il suo creatore, in molti pensano che al PET sia venuta meno la persona di riferimento nonché quella che poteva portarne avanti lo sviluppo.
Invece il settore commerciale spinge per continuare sulla strada del VIC-20 che sta registrando vendite da record, per cui non ha al momento voglia di scendere da questo carro vincente. Tuttavia, gli ingegneri di MOS Technology sanno bene che questo successo non potrà durare: il VIC-20 è obiettivamente inferiore ad altre proposte in circolazione, come i computer ad 8 bit di Atari, il 400 e l’800. D’accordo con Charles Winterble, capo della MOS Technology, essi decidono di iniziare a sviluppare il suo successore. Winterble ne inizia a parlare ad Al Charpentier, il progettista del chip video VIC che ha dato il nome al VIC-20, ed insieme gettano le basi di un nuovo chipset. Il cuore del nuovo computer si chiamerà 6510 (fig. 3), in pratica un 6502 con una porta di I/O aggiuntiva, mentre per la gestione delle periferiche viene progettato il CIA, una versione avanzata del PIA. Il punto cruciale è il reparto video: il VIC-20 possiede un chip
che genera sì un’immagine a colori ma con sole 22 colonne di testo. C’è però nel cassetto un nuovo chip video denominato VIC1.5, che altro non è se non il VIC portato a 40 colonne. Questo chip era stato pensato per una versione a colori del PET nonché come aggiornamento del VIC-20 stesso, pensato per essere sostituito al VIC grazie al fatto che mantiene la piedinatura del chip originale: nessuno dei due progetti ha, però, mai visto la luce, ed il VIC1.5 è rimasto nel cassetto. Winterble chiede un incontro con Tramiel e gli prospetta la volontà di usare questo chip grafico come base per realizzare un nuovo progetto orientato principalmente ai giochi ma trasformabile anche in un computer. A Tramiel piace l’idea e dà l’OK a Winterble, che incarica perciò Charpentier e Bob Russel, un altro ingegnere che ha lavorato sul VIC-20, di studiare i sistemi da gioco in circolazione per prendere degli spunti: questi ultimi, in dieci giorni, esaminano le console ed i computer presenti sul mercato, come l’Intellivision, i computer Atari ed il TI99/4A, e stilano l’elenco delle caratteristiche che il chip deve avere. Alla fine, incontrano nuovamente Tramiel per presentargli il progetto finale, il quale lo approva in via definitiva.
Charpentier si mette al lavoro e progetta una versione migliorata del VIC1.5, che viene chiamato VIC-II: il nuovo chip è capace di generare un’immagine a 40 colonne di testo con una risoluzione di 320×200 pixel e 2 colori su schermo da una tavolozza di 16. Decide però di permettere anche una modalità multicolore con 4 colori differenti per far sì che i giochi siano più realistici, al costo però di dimezzare la risoluzione a 160×200 pixel. Aggiunge poi la gestione di 8 sprite in hardware con tutta una serie di caratteristiche avanzate come il controllo delle collisioni e la possibilità di gestirli anche multicolore: gli sprite sono una cosa così importante che ben 2/3 della superficie del chip sono dedicati alla loro gestione. Viene poi mantenuto lo scrolling hardware in orizzontale e verticale, utile per i giochi con la scena in movimento. Per il suono viene deciso di creare un chip audio separato, abbandonando quindi la strada del sistema integrato seguita per il VIC (che genera immagine e audio) e seguendo quella già battuta dalla concorrenza. A questo progetto si dedica Bob Yannes, un amante della musica e dei sintetizzatori digitali, il quale realizza un chip con capacità audio mai viste prima su un sistema dometistico: il MOS SID (Sound Interface Device) è capace di generare suoni usando 4 forme d’onda a più ottave. Siccome lo sviluppo porta via molto tempo e Yannes non riesce a concretizzare tutte le idee che ha in mente, al posto di multiplexare l’oscillatore audio e creare più voci da un’unica sorgente interna, decide di replicare 3 volte il circuito creato: è così che il SID è dotato di 3 generatori di suono indipendenti.
Verso il Commodore 64
Nel frattempo, Tramiel ha deciso che il progetto del computer sia grandioso: l’erede del VIC-20 dovrà essere non un computer qualunque, bensì il più potente sistema della sua categoria. Jack, sicuro del fatto che i prezzi delle memorie scenderanno nel periodo che intercorre fra l’inizio della progettazione e la messa in vendita, decide che il nuovo computer venga dotato di ben 64 KB di RAM. Parte lo sviluppo di quello che inizialmente è il progetto VIC-40, un nome scelto non a caso: con esso si vuole far intendere che questa macchina è il successore del VIC-20. Tutti i suddetti chip sono consegnati da MOS Technology per il mese di novembre del 1981, ed il team inizia subito un vero e proprio “tour de force”, dato che Charpentier e Tramiel hanno deciso di presentare la macchina al Consumer Electronic Show (CES) di gennaio del 1982. Nonostante saltino anche le festività del Giorno del Ringraziamento e quelle di Natale e lavorino alle volte anche 16/20 ore al giorno, gli ingegneri riescono a completare il prototipo solo pochi giorni prima del CES, la scadenza prefissata.
Poco prima della presentazione ufficiale, il nuovo computer viene ribattezzato semplicemente “C64”, dal quantitativo di memoria installata. Il C64 è il vero mattatore del CES e lo stand della Commodore è letteralmente preso d’assalto dagli operatori del settore per assistere alla presentazione del computer: colpiscono non solo le strabilianti caratteristiche tecniche, con un suono ed una grafica mai visti prima su un home computer, ma anche e soprattutto il fatto che costi solo 595 dollari. Terminato l’evento, il C64 torna sui banchi degli ingegneri: il prototipo deve essere convertito in un computer che può essere prodotto. Ci sono ancora molti problemi da risolvere, alcuni derivanti dal chip video, che mostra artefatti grafici in alcune condizioni, altri causati dai problemi di velocità di lettura e scrittura del nuovo lettore di dischi; infine, c’è il sistema operativo, che va adattato al nuovo hardware. Tutto questo lavoro porta via molto tempo: il C64, che doveva debuttare a primavera, viene alla fine messo in commercio solo nel mese di agosto del 1982.
Il MAX (o MAX Machine)
Nel frattempo, Tramiel vuole monetizzare il lavoro fatto e decide di mandare in produzione il progetto parallelo basato sullo stesso chipset del C64 ma destinato a diventare una console, progetto noto in azienda come MAX (fig. 5). Il MAX deve replicare in Giappone il successo del VIC-20 avuto sul suolo americano, combattendo contro i prodotti del Sol Levante sul loro stesso terreno: è perciò un progetto per una console da giochi da vendere intorno ai 180 dollari. Dato che usa gli stessi componenti del C64, le cartucce dei giochi di questi due sistemi vengono rese intercambiabili: per far ciò, il C64 viene modificato creando una modalità che rende compatibile la mappa della memoria del computer con quella della console così che, all’inserimento della cartuccia, il C64 “diventi” un MAX. Lo sviluppo iniziale avviene negli USA ma la finalizzazione dello stesso viene fatta in Giappone presso la filiale locale della Commodore da Yash Terakura.
Sebbene nasca come console da gioco, il MAX è stato pensato per diventare anche un piccolo computer, una soluzione molto in voga all’epoca ed adottata anche da altri produttori di sistemi da gioco, come il ColecoVision trasformabile nel computer Adam, il kit Spectravideo CompuMate per l’Atari 2600, il Keyboard Component per il Mattel Intellivision, e altri ancora. Ma invece di vendere la tastiera come accessorio, la nuova macchina viene inserita direttamente all’interno di un piccolo case con una tastiera a membrana simile a quella del PET. La trasformazione avviene tramite una cartuccia del BASIC che fornisce, oltre all’interprete, anche un editor a schermo simile a quello del C64 per poter scrivere piccoli programmi.
La console viene messa in commercio nel solo Giappone agli inizi del 1982 come Commodore MAX (è nota anche come MAX Machine). Nonostante l’aspetto di un computer, il MAX è una console a tutti gli effetti: lo dimostrano i soli 2 KB di RAM installati nonché la totale assenza di un sistema operativo da lanciare nel caso in cui non sia presente all’accensione nessuna cartuccia. In seguito si pensa di esportarla anche al di fuori dell’isola nipponica: viene perciò presentata come Ultimax in Canada, sempre come MAX in Gran Bretagna e poi come VC-10 in Germania. Il MAX non riesce, però, ad imporsi vista la poca differenza di prezzo con il VIC-20 che, grazie alla sua maggior espandibilità e duttilità, viene preferito alla console. Per questo motivo, viene tolta dal mercato giapponese dopo pochi mesi dall’inizio della sua commercializzazione e qualche decina di cartucce prodotte, e si decide di non metterla neanche in commercio sugli altri mercati dove è stata presentata perché ritenuta inadatta a fronteggiare la concorrenza.
Il debutto del C64 e la guerra dei prezzi
Come detto, il C64 viene messo in commercio ad agosto al prezzo di 595 dollari. Tutta la concorrenza si chiede come possa una macchina del genere costare così poco. La risposta è: “risparmio e riciclo”. Per il C64 tutto è stato progettato per poter essere riciclato da progetti precedenti o sviluppato ex-novo col minimo investimento. Il chipset, l’unica cosa quasi del tutto completamente nuova rispetto ai computer già prodotti, è stato comunque sviluppato in casa dalla sussidiaria MOS Technology. Il KERNAL del computer è quello del VIC-20, riciclato pari pari e soltanto adattato al nuovo hardware. Pure il BASIC è lo stesso: difatti la versione è proprio la 2.0 del suo predecessore. Anche il contenitore è identico a quello del VIC-20, solo di un colore differente, quindi costo di progettazione pari a zero.
Con questo prezzo di vendita, che comprende grafica e sprite a colori, capacità audio pari a quelle di un sintetizzatore digitale, un quantitativo di memoria normalmente presente su macchine molto più costose, e con la possibilità di collegare periferiche di ogni genere e la comodità di utilizzarlo anche su un comune TV domestico senza dover acquistare monitor appositi, il C64 sbaraglia la concorrenza. Dal debutto alla fine di quell’anno il C64 vende bene e registra, dopo le feste di Natale, 360.000 unità vendute. Ma questo è niente rispetto ai numeri che farà segnare in seguito… Nel 1983, grazie ad una distribuzione che avviene non solo nei negozi specializzati ma anche in grandi catene commerciali e persino nei negozi di giocattoli, il C64 raggiunge una platea di clienti molto superiore rispetto alle macchine della concorrenza, vendute solo nei negozi specializzati: le persone lo acquistano invogliati dalla stampa di settore che ne elogia l’ottimo rapporto qualità/prezzo. In quell’anno si contano circa 1,3 milioni di unità vendute: i computer ad 8 bit di Atari, le serie 400 ed 800, si piazzano al secondo posto, seguiti dall’Apple II. Quest’ultimo viene velocemente surclassato per via del prezzo nettamente superiore, quasi il triplo del prezzo del prodotto Commodore. Da lì inizia una vera e propria guerra dei prezzi, con una campagna commerciale aggressiva da parte di Tramiel. Il motivo è semplice: far fuori i rivali, soprattutto la Texas Instruments. Tramiel, infatti, si ricorda ancora quando la Commodore, agli inizi degli anni ‘70 del XX secolo, da leader indiscussa del mercato delle calcolatrici ha quasi rischiato la bancarotta a causa dell’ingresso nel settore proprio dell’azienda texana che, da solo produttore di chip, si è messa a vendere le calcolatrici complete dominando il mercato con prezzi bassissimi grazie al fatto che gli integrati che vende alla concorrenza costano più di una propria calcolatrice. Prima della fine dell’anno il VIC-20 viene ribassato sotto alla soglia dei 200 dollari, risultando più economico del suo diretto rivale, il TI-99/4A della Texas (fig. 6): in risposta, quest’ultima offre uno sconto di 100 dollari sul prezzo di acquisto del computer, che è di 300 dollari. Contemporaneamente Atari ribassa il suo 800 a 500 dollari per contrastare le vendite del C64 del periodo natalizio. Come riposta, agli inizi del 1983, Commodore ribassa il C64 da 595 a 399 dollari, senza però rimetterci: questo è possibile grazie al fatto che l’azienda produce i chipset dei propri computer.
A febbraio, Texas Instruments ribassa il TI-99/4A a 150 dollari: come risposta, ad aprile Commodore taglia i prezzi di tutta la linea del VIC-20, il cui prezzo scende sotto ai 100 dollari. Non solo, attua anche una campagna promozionale che letteralmente demolisce la concorrenza: qualsiasi computer reso alla Commodore darà diritto ad un rimborso di 100 dollari sull’acquisto del C64. Questa promozione non solo riempie i magazzini della Commodore di computer di qualsiasi tipo ma, per assurdo, incrementa, anche se temporaneamente, le vendite dei microcomputer della Timex Sinclair, che importa negli USA i prodotti della Sinclair: la gente acquista economici Timex-Sinclair a meno di 50 dollari per spedirli alla Commodore, ottenere il rimborso di 100 dollari, e intascarsi la differenza.
A maggio la Atari ribassa l’Atari 800 di 100 dollari ma, al CES di giugno, la Commodore annuncia che il C64 passa a soli 200€, un terzo del prezzo iniziale! Ad ottobre la Texas Instruments issa bandiera bianca e si arrende alla Commodore, ritirando il suo TI-99/4A dal mercato: il nemico di Tramiel esce sconfitto. Atari, invece, subisce un colpo ancor più pesante: complice anche la cosiddetta crisi dei videogiochi del 1983 che colpisce il mercato nordamericano dei videogiochi, alcune scellerate scelte di mercato prese per la sua console 2600 si rivelano degli enormi fiaschi commerciali, ed Atari viene trascinata nel baratro. L’azienda registra più di 500 milioni di dollari di perdite: Atari per poco non ci lascia le penne, e solo una forte riorganizzazione societaria, con lo smembramento in due entità distinte dei reparti arcade e sistemi domestici e la vendita di quest’ultimo, la salva dalla bancarotta.
A questo punto, l’ascesa del C64 continua senza rivali. Anche la Apple, nonostante gli aggiornamenti al suo Apple II, non rappresenta più una minaccia dato che il costo di questo computer è molto superiore a quello del C64. Il 1984 vede quest’ultimo registrare 2,6 milioni di unità vendute, il picco più alto mai raggiunto durante tutto il periodo in cui resta in vendita: successivamente, le vendite proseguono su circa 1,5 milioni di unità all’anno fino al 1989, quando calano a circa 1 milione di unità all’anno. Il C64 resiste anche al “fuoco amico”: nel 1985, la Commodore presenta il suo successore, il C128. Nonostante caratteristiche più avanzate e la quasi completa compatibilità con il C64, la domanda per quest’ultimo resta sempre forte tanto che il C128 viene tolto dal mercato dopo 4 anni con circa 2,5 milioni di unità vendute, meno di quanto il C64 abbia fatto registrare nel suddetto anno d’oro del 1984. Nello stesso 1985 viene presentata anche l’Amiga: sebbene sia un computer a 16 bit con caratteristiche enormemente superiori, il C64 regge l’urto anche contro quest’ultimo avversario, grazie anche al fatto che nel 1985 il C64 si può acquistare per 149 dollari ed è quindi una valida alternativa economica per chi vuole un computer performante ma non troppo costoso.
Nel 1992, Commodore afferma di aver venduto circa 12 milioni di C64 dall’inizio della sua commercializzazione fino al 31 dicembre 1991. Nel 1992 le vendite sono di 650.000 unità. Nel 1993 si parla di poco più di 200.000 unità mentre per il 1994 i numeri sono incerti, anche perché questo è l’anno del fallimento di Commodore, per cui è lecito stimare vendite esigue. Possiamo affermare che in tutta la sua vita commerciale il C64 abbia venduto sulle 13 milioni di unità, anche se, secondo altre fonti, i numeri potrebbero essere superiori: in ogni caso, il C64 è il computer che detiene il record di vendite, e difficilmente verrà superato in questo primato.
Caratteristiche tecniche
Il cuore del computer è il MOS 6510, una CPU derivata dal 6502 rispetto al quale presenta una riorganizzazione dei piedini grazie a cui è stato possibile aggiungere una porta di I/O a 8 linee (nel C64 ne sono usate solo 6) utilizzata per controllare la mappatura della memoria del computer nonché per comandare direttamente l’eventuale lettore a cassette collegato. A parte questa differenza esterna, il 6510 è in pratica un 6502 per cui il software può essere adattato semplicemente modificando le parti che accedono all’hardware della macchina.
Rispetto al VIC-20, dove un unico coprocessore si occupa della generazione del segnale video e dell’audio, sul C64 questi compiti vengono divisi fra 2 chip appositi: il VIC-II si occupa dell’immagine mentre il SID si occupa del suono. Il VIC-II è un chip capace di generare un’immagine a colori sia in modalità grafica che testuale: nella prima, la schermata è composta da 320×200 pixel mentre nella seconda da 40×25 caratteri, ed in entrambe le modalità i colori possibili sono 16. In modalità grafica si può operare sia in alta che in media risoluzione, quest’ultima è detta anche multicolore: nella prima l’immagine è divisa in blocchi di 8×8 pixel ed ogni blocco permette un colore di sfondo, uguale per tutta l’immagine, ed un colore primario diverso. La modalità multicolore è stata prevista dai progettisti del chip per favorire i programmatori di giochi: in essa, al posto di usare 1 bit per ogni pixel colore ne vengono usati 2. In questo modo si possono indirizzare 4 colori differenti per blocco,
al costo però di dimezzare la risoluzione orizzontale, che passa a 160 pixel, e, di conseguenza, i blocchi sono di 4×8 pixel. Le modalità testuali sono 3: la modalità classica, con 1000 celle (40×25) di 8×8 pixel, ognuna delle quali in grado di visualizzare caratteri con 2 colori; la modalità multicolore, in cui la risoluzione è di 4×8 pixel per cella ma col vantaggio di poter indirizzare 4 colori per cella; la modalità multicolore estesa, che permette 5 colori per cella, al costo però di ridurre la tabella dei caratteri da 256 a 64. Nelle modalità multicolore si hanno delle limitazioni: per non occupare molta memoria, viene impostata una serie di colori comuni a tutto lo schermo ed altri specifici per ogni singolo blocco di pixel. Alcuni dati del colore sono memorizzati in un banco di memoria di 1024 nibble (1024 celle da 4 bit) detta Color RAM a cui accede solo il VIC-II.
Oltre a ciò il chip gestisce 8 sprite monocromatici di 24×21 pixel oppure multicolore di 12×21 pixel con 3 colori, con le limitazioni già viste in precedenza (1 solo colore per ogni sprite e 2 comuni a tutti). Il chip gestisce anche le collisioni per cui si può sapere quando uno sprite collide con un altro o con lo sfondo. Gli sprite possono essere anche ingranditi del doppio (non cambia la risoluzione, dato che semplicemente ogni pixel diventa un blocco di 2×2 pixel sullo schermo). Infine, il VIC-II gestisce sia lo scorrimento verticale che orizzontale nonché un interrupt agganciato al pennello video grazie a cui si possono cambiare gli attributi grafici al raggiungimento di una determinata riga dello schermo, ad esempio per modificare il colore del bordo o dell’immagine.
Il comparto sonoro non è da meno. Creato da un vero musicista ed appassionato di musica elettronica, il SID è un vero sintetizzatore digitale capace di generare 4 diverse forme d’onda: a dente di sega, triangolare, quadrata e rumore bianco. E’ dotato di 3 voci separate, ognuna capace di miscelare più forme d’onda per crearne di nuove nonché applicare dei filtri o modulare le onde per creare numerosi effetti. Oltre a ciò, ognuno dei 3 oscillatori può gestire l’ADSR, sigla che sta per Attach-Decay-Sustain-Release, vale a dire la gestione del volume nelle 4 fasi del suono, rispettivamente il tempo che ci mette a raggiungere inizialmente il volume massimo e la durata della prima diminuzione, il tempo di mantenimento durante la generazione principale del suono ed infine quello che ci impiega a raggiungere il volume zero una volta interrotta la penultima fase.
Il sistema operativo della macchina occupa 20 KB: 8 KB contengono il BASIC 2.0, lo stesso del predecessore VIC-20, mentre in altri 8 KB è stipato il KERNAL, ossia le routine di gestione delle funzioni base della macchina. Infine, 4 KB sono destinati ad accogliere la mappa caratteri, composta da due diverse tabelle: la prima contiene i classici caratteri ASCII nonché una serie di caratteri semigrafici ereditati dal PET, mentre la seconda la versione “shiftata” della prima, dove le classiche lettere maiuscole sono sostituite dalla loro versione minuscola. Alla ROM si somma una memoria RAM di 64 KB: dato che il processore 6510 non può indirizzare più di 64 KB di memoria, alcuni banchi di RAM sono disattivati ed al loro posto risultano attive le suddette ROM in modo che, normalmente, l’interprete BASIC risulti attivo ed il computer possa gestire gli input
dell’utente dati tramite l’editor di schermo. La gestione dei banchi attivi avviene grazie ad un sofisticato sistema di scambio delle memorie (“bank switching”) gestito da un apposito integrato, detto PLA. La sintesi di tutto questo si traduce in circa 38 KB di RAM disponibili all’utente per i programmi in BASIC: nel caso in cui si voglia disporre di tutta la memoria disponibile, è possibile disattivare la ROM del sistema operativo ed attivare la RAM sottostante, che occupa gli stessi indirizzi, a costo di rinunciare al BASIC ed al KERNAL. (fig. 8).
Sul lato dell’interfacciamento con il mondo esterno, il C64 offre una grande varietà di possibilità. Dietro al computer c’è un connettore a 44 pin collegato direttamente ai bus dati ed indirizzi della CPU, usato per collegare cartucce giochi su ROM o espansioni di memoria RAM. C’è poi un altro connettore con 24 linee, detto porta utente, al quale si possono agganciare periferiche di terze parti come stampanti o altro. A fianco di questi due connettori primari troviamo un classico connettore per l’uscita RF per collegare un comune apparecchio TV, un connettore DIN ad 8 pin per collegare monitor compatibili con il segnale video composito, un connettore seriale proprietario a cui si possono collegare stampanti e lettori di dischi, un altro connettore a pettine per il collegamento del Datassette (l’unità a nastri di Commodore) ed infine un paio di porte a 9 pin per collegare altrettanti joystick ma anche mouse e penne ottiche.
Versioni ed espansioni
Nel corso della sua lunga vita commerciale (ben 12 anni di carriera!) il Commodore 64 è andato incontro a numerose revisioni e cambiamenti, non solo estetici. Partendo dal comparto tecnico, c’è da segnalare che la Commodore, nell’ottica di ottimizzare la produzione della macchina e rincorrere una perenne riduzione dei costi, ha continuamente aggiornato la scheda elettronica del computer (fig. 7). Questo si riflette sulla dimensione e forma della scheda ospitata all’interno del computer ma anche sugli integrati stessi: ad esempio, nel corso del tempo sono cambiati il numero dei chip di RAM, la disposizione degli integrati nonché il tipo stesso di chipset montato (quando ad esempio sono uscite le nuove versioni con processo produttivo aggiornato).
A parte l’elettronica, ci sono state anche delle versioni a volte che hanno riguardato l’estetica o le capacità del C64. La prima versione speciale è stata la console MAX, o Ultimax com’era nota all’interno dell’azienda, messa in vendita agli inizi del 1982, prima addirittura del C64 stesso ma durata veramente poco tempo. L’Educator 64 è stato un tentativo fatto dalla Commodore nel 1983 di erodere le quote dell’Apple II negli istituti scolastici. Rilasciato con un case simile a quello del PET e con un monitor integrato a fosfori verdi, il computer non ha avuto fortuna dovendo battersi contro l’esteso parco software del primo. Sempre nel 1983 viene presentato il Commodore SX-64 (fig. 9), un C64 che riprende lo stile dell’Osborne 1 e del Kaypro II, ossia quello di un computer “portabile” delle dimensioni di una piccola valigia, rispetto a questi sistemi è stato il primo ad offrire un monitor a colori.
Nel 1986, seguendo lo stile del C128 introdotto l’anno prima, viene presentato il C64C, una versione con un case più basso e filante e di colore beige chiaro (fig. 10).
Funzionalmente identico al precedente modello, alcune periferiche però non si adattano più per via dei diversi ingombri, ad esempio le schede acceleratrici da montare internamente o alcuni accessori esterni come le tastiere musicali da applicare sui tasti della macchina. A parte questo, internamente si segnala il passaggio alla nuova versione del chipset, che porta con sé un problema col SID: per correggere un “difetto” del progetto iniziale, il SID ha perso quella forza e quella “ruvidezza” iniziali nonché alcuni effetti sonori che, nel corso degli anni, diversi musicisti hanno imparato a tirar fuori trasformando un difetto in un pregio. Se ad alcuni il suono più pulito piace di più, gli amanti del vecchio C64 gridano allo scandalo, non sentendo più alcuni suoni che il SID originale era in grado di riprodurre rispetto al nuovo. Verso la fine degli anni ‘80 del XX secolo la Commodore produce, per il mercato tedesco, un paio di versioni speciali (la “ALDI” e la “G”) per le quali viene rispolverato il vecchio case: quindi, “ibridi” con le forme del primo C64 ed i colori delle plastiche più chiari come sul C64C.
Nel 1990, provando (erroneamente) a ripercorrere (malamente) la strada (errata) del MAX, viene rilasciato il Commodore 64 Game System, abbreviato in 64 GS, un C64 privato della tastiera e di tutto tranne la porta per le cartucce e quelle per i joystick. Il C64 GS è in pratica la versione “console” del computer e può far funzionare le sue cartucce giochi a patto che questi non richiedano input da tastiera, dato che non esiste… Inutile dire che anche qui siamo al nuovo, ennesimo, fiasco commerciale.
Infine, c’è da citare il mitico Commodore 65. Creato nel 1991, è una versione a metà strada fra il C64 ad 8 bit e l’Amiga a 16 bit: il progetto è stato poi cancellato, probabilmente perché il mercato stava lasciando anche i 16 bit per orientarsi verso i più performanti 32 bit. Nel 1994, dopo il fallimento della Commodore, alcune decine di prototipi del C65 sono usciti dall’azienda e sono stati messi in vendita, divenendo nel corso degli anni oggetti da collezione molto rari.
Giochi e programmi
Giochi e programmi
Inutile dire che le capacità grafiche e sonore del computer nonché la sua enorme diffusione ha sempre attratto gli sviluppatori software, tanto che a metà degli anni ‘80 del XX secolo affinché un qualunque programma abbia successo basta che venga pubblicato per il PC IBM e per il Commodore 64. Molti programmi di utilità sono stati convertiti anche per il C64, ad esempio il foglio elettronico MultiPlan di Microsoft, oppure KoalaPainter, il programma di disegno offerto in abbinamento alla tavoletta grafica KoalaPad. Una grossa spinta alla diffusione di programmi “seri” si è avuta dopo l’introduzione del GEOS, un sistema operativo grafico rilasciato da Berkley Software nel 1986: originariamente sviluppato proprio per il C64, il GEOS offre un ambiente grafico che ricorda molto quello del primo Macintosh di Apple e permette, essendo un vero sistema operativo, l’esecuzione di applicazioni che possono non solo accedere a tutte le periferiche della macchina ma avvalersi anche del supporto dell’ambiente a finestre. Oltre a quello integrato, non mancano versioni del BASIC più avanzate che sfruttano meglio le capacità della macchina, ad esempio il Simon’s BASIC, che offrono nuovi comandi per l’accesso facilitato ai dischi e per disegnare in modalità grafica, gestire gli sprite o generare musica in maniera più semplice. Rimanendo in tema di linguaggi di programmazione, si è avuta anche un’ampia offerta di interpreti e compilatori per i più diffusi linguaggi dell’epoca, come l’assembly, il Forth, il C, il Pascal, il FORTRAN.
I giochi sono stati, però, quelli che più di tutti hanno mostrato le capacità audio e grafiche del C64: nella seconda metà degli anni ‘80 più del 60% del software prodotto per questa piattaforma sono giochi per cui è impossibile citarli tutti, sono migliaia. Secondo alcune stime siamo sull’ordine dei 6.000, ed il numero dei programmi complessivamente rilasciati, contando i software applicativi, arriva complessivamente a 10.000. È doveroso poi fare un distinguo fra i giochi pubblicati negli USA e quelli pubblicati in Europa: se i primi sono stati rilasciati prevalentemente su dischetto, perché questo era il formato più diffuso in Nord America, in Europa sono stati rilasciati giochi prevalentemente su cassetta, formato più economico e diffuso nel Vecchio Continente. Quindi, molti titoli sviluppati per usare il caricamento di dati in modo random durante il gioco non sono stati pubblicati su nastro mentre non tutti i titoli rilasciati su cassetta, pubblicati prevalentemente da sviluppatori europei, sono arrivati in America.
A parte questo, ci sono comunque dei titoli distintivi del computer: “Impossible Mission” del 1984 (fig. 11), dove si vestono i panni di un agente speciale, è uno dei primi giochi a larga diffusione, spesso citato come uno dei giochi “must-have” del C64. Ci sono poi i giochi sportivi multi-evento pubblicati da Epyx, come “Summer Games”, “Winter Games”, “California Games” e “World Games”. “Pitstop II” va citato perché è il primo titolo di corse automobilistico per 2 giocatori con visione divisa.
Agli inizi degli anni ‘90, quando ormai la piattaforma è alla fine della sua vita commerciale e quando il mercato è ormai dominato dai sistemi a 16 bit, i programmatori, forti dell’esperienza e della conoscenza della macchina accumulata negli anni precedenti, hanno rilasciato delle vere e proprie perle che hanno sfruttato al massimo le capacità del C64. “Turrican” I (fig. 13) e II sono giochi nati sul C64 rispettivamente nel 1990 e nel 1991 che, data la loro qualità, hanno riscosso così tanto successo da essere stati convertiti per altre piattaforme. “Mayhem in Monsterland” (fig. 14), del 1993, è universalmente noto come il non-plus-ultra dei giochi ad 8 bit: i programmatori sfruttano così a fondo il C64 che il risultato finale, un platform in stile “Supermario”, sembra un gioco per un sistema a 16 bit.
Le capacità audio del computer hanno fatto nascere anche un nuovo lavoro, ossia il compositore digitale di musiche per giochi. Tra gli artisti musicali nati e formatisi sul C64 non possiamo non citare Martin Galway, il primo ad usare musica campionata nella sua conversione di “Arkanoid” del 1987, oppure Matt Gray, noto per i famosi temi musicali della serie “The Last Ninja”, giochi che, oltre alle musiche, sono da ricordare per le scene isometriche (fig 15).
Rob Hubbard ha scritto molte musiche di famosi giochi fra cui “International Karate”, diversi capitoli della serie “Monty” e “Commando”, per citarne alcuni.
Dato che molti giochi sono stati pubblicati con sistemi di protezione, nascono in quell’epoca anche diversi pirati informatici o gruppi di essi che, per vantarsi di aver infranto la protezione di questo o quel software, inseriscono le proprie firme all’inizio del caricamento dello stesso. Queste firme diventano sempre più complesse, per mostrare di cosa essi sono capaci: da semplici testi ben presto si arriva a animazioni grafiche accompagnate da musica. Alla lunga, le animazioni diventano talmente elaborate e sfruttano così a fondo l’hardware della macchina che raggiungono livelli qualitativi inverosimili: dalle “crack-intro”, le scene messe all’inizio dei giochi craccati, si passa così al fenomeno delle “demoscene”, ossia le crack-intro che diventano programmi indipendenti e che altro non fanno che mostrare le capacità dell’hacker nel portare al limite le macchine su cui girano. Fenomeno che è rimasto attivo per anni e che negli ultimi tempi, complice il rinnovato interesse per i nostri sistemi ad 8 e 16 bit, ha ripreso campo ed è tornato in auge fra gli appassionati di allora ma anche fra i neofiti (fig. 16).
Conclusioni
Potremmo continuare ancora per molto tempo, citando la miriade di periferiche nate per far fare al Commodore 64 qualsiasi tipo di lavoro. Io stesso ricordo che, a metà degli anni ‘80, andai a far visita ad un amico il cui genitore aveva il computer collegato ad un modem e, tramite un programma, riceveva le immagini dai satelliti Meteosat, le elaborava e mostrava poi sullo schermo la situazione meteo dell’Italia in tempo reale. Miriadi di ragazzi hanno costruito le loro carriere informatiche imparando i rudimenti della programmazione su questo computer, e chi non programmava, ha comunque imparato ad usare i computer grazie al C64. Le edicole erano invase da riviste con programmi da digitare sul proprio computer nonché di raccolte di giochi per provare a casa quel nuovo arcade visto al bar. Sì, perché nonostante le limitazioni del suo BASIC, quando si passava all’assembly e si spremeva la macchina, questa tirava fuori cose che gli altri computer coevi potevano solo immaginarsi. Sappiamo poi tutti come è andata a finire la storia, con la Commodore che non è mai riuscita a sfruttare al meglio tutte quelle opportunità che ha avuto fra le mani, dall’Amiga allo stesso C64, ottenendo una frazione di quanto questi sistemi potenzialmente avrebbero potuto portare in termini economici se solo si fosse pensato a svilupparli ed evolverli in modo intelligente invece che concentrarsi sul prendere la gallina oggi lasciando perdere l’uovo di domani.