L’Olivetti M20 e la storia di un sito web

RetroMagazine nr. 24 – Anno: 2020 – Autore: Davide Bucci (traduzione a cura di David La Monaca)

Fig. 1: Il case dell’M20, firmato da Ettore Sottsass

L’Olivetti M20 è stato un computer molto particolare, sviluppato in un’epoca in cui non era ancora scontato che i processori Intel e MS-DOS avrebbero avuto un ruolo predominante negli anni a venire. In definitiva, l’M20 non avrebbe avuto successori diretti e non avrebbe finito per creare un ecosistema abbastanza esteso da sopravvivere per più di qualche anno sul mercato dei personal computer. Tuttavia, ha sicuramente trovato una sua piccola nicchia, soprattutto in Europa ed ha fornito per anni il suo contribuito al lavoro quotidiano di molte piccole imprese.
Quest’articolo, nella sua prima parte, presenta l’M20 ed il sistema operativo che Olivetti sviluppò per questo computer, il PCOS. Sono tuttora il webmaster di un sito web dedicato a questa macchina, che è andato per la prima volta online nel 2005, pertanto la seconda parte di questo articolo ha un carattere più personale e descrive la storia del mio M20 e quella del sito web ad esso dedicato.

Il ritmo di un altro tamburo, lo Z8001
Lo sviluppo dell’M20 (nome di progetto: PC1000) iniziò nel 1979 nel Centro di Tecnologia Avanzata Olivetti (ATC) di Cupertino, California, non lontano dalla sede centrale della Apple. Olivetti presentò il computer al pubblico il 31 marzo 1982, nel magnifico castello di Agliè, non troppo lontano da Ivrea, in Piemonte [1]. Il nome M20 era già stato utilizzato per un vecchio modello di macchina per scrivere nel 1920 ed Olivetti evidentemente sperava di ripetere il suo successo per l’allora nascente mercato dei personal computer. Il neonato sistema era basato sul processore Zilog Z8001, come tutte le macchine della ‘LINEA 1’ (L1), che comprendeva anche i minicomputer M30, M40 e M60. L’M20 utilizzava un sistema operativo proprietario sviluppato appositamente: il Professional Computer Operating System o PCOS-8000. Un dettaglio curioso dell’evento della presentazione ufficiale fu che diversi ministri e rappresentanti politici italiani furono invitati al meeting di Agliè: all’epoca, presentare un nuovo computer in Italia non era considerato come un evento tecnologico di minore importanza, ma era anche un evento politico e (perché no?) culturale. Tuttavia il computer fu, di fatto, distribuito in tutto il mondo [2-4] suscitando ovunque un certo interesse. Il titolo di questo paragrafo, ad esempio, parafrasa il sottotitolo della prova pubblicata in una rivista americana [3].

Olivetti era nota per il suo design industriale e l’M20 non faceva eccezione. Un case in plastica dall’aspetto molto moderno fu progettato da Ettore Sottsass (1917-2007) e fu molto elogiato all’epoca. Il progettista vantava una lunga storia di collaborazione con Olivetti. In particolare, fu responsabile del design industriale dell’Elea 9003 nel 1959, uno dei primi computer completamente transistorizzati al mondo. Nel 1969 Sottsass disegnò anche l’elegante macchina per scrivere Valentine, tutta rivestita da uno sgargiante color rosso. L’M20 ospitava una scheda madre di dimensioni rispettabili, una tastiera ben accessoriata (non rimovibile) e due unità floppy disk da 5,25″ oppure un’unità floppy disk e un disco rigido. Un monitor separato da 12″ poteva essere posizionato sopra l’unità centrale ed orientato a piacere. Il risultato si può apprezzare in Figura 1. Il look complessivo mantiene tuttora un certo fascino retro-futuristico.

L’hardware
La scheda madre, mostrata in figura 2, occupava praticamente tutta la base del computer, per cui la scelta di una tastiera integrata era dettata da vincoli tecnici. La scheda presentava un processore Z8001 a 4 MHz, che utilizzava un bus a 16 bit, 128 KB di RAM, un’interfaccia stampante e un’interfaccia seriale RS232 con una velocità massima di 9600 baud. La RAM poteva essere espansa fino ad un massimo di 512 KB utilizzando fino ad un massimo di tre schede di espansione. Due slot erano disponibili per le espansioni come una scheda di interfaccia IEEE, un controller per hard disk e così via. La qualità costruttiva era eccellente e il sistema era pienamente modulare: l’assemblaggio e il disassemblaggio richiedevano soltanto poche viti ed alcuni incastri facili da chiudere o aprire.

    Figura 2 – L’ampia motherboard dell’M20

    La tastiera era leggermente rumorosa, ma veloce ed eccellente per la digitazione rapida. I lettori italiani possono notare in figura 3 il classico layout QZERTY delle macchine per scrivere, dato che il moderno layout QWERTY italiano più le lettere accentate venne introdotto, dalla stessa Olivetti, a partire dal modello M24. Olivetti voleva probabilmente che le persone si sentissero il più possibile a loro agio durante le sessioni di lavoro alla tastiera e si rivolgeva a chi era già abituato alle macchine per scrivere, perlomeno nella versione BC (Business Computer). Altre versioni riportavano sui tasti i comandi BASIC per agevolare gli utenti programmatori.

    Figura 3 – Il layout QZERTY italiano della tastiera

    Le recensioni contemporanee [3] tendono a menzionare esplicitamente l’assenza di tasti funzione separati, ma comunque alcune funzioni speciali sono accessibili tramite due tasti colorati denominati Command e CTRL, che si dovevano tenere premuti prima di azionare un altro tasto. Una legenda rimovibile poteva essere inserita in una fessura sulla parte superiore della tastiera, per ricordare all’utente la funzione di ogni tasto. Ai due tasti aggiuntivi chiamati S1 e S2 potevano essere assegnate varie operazioni. L’omissione più evidente è il tasto backspace, normalmente ottenuto con CTRL+H (il tasto Tab si ottiene con CTRL+I). Il tasto S2 si trova esattamente nel punto in cui ci si aspetterebbe il tasto backspace, ma era configurato di default come Carriage-Return (tasto Invio). Qualsiasi tasto poteva essere riprogrammato: ad esempio, se si pensava di non poter vivere senza il tasto backspace, al suo posto si poteva digitare ‘CK &C3, 8’ per assegnare il tasto S2 (codice di scansione C3 in esadecimale) a quella funzione (codice ASCII 8 = CTRL+H). Si poteva anche rendere questa funzione permanente, con il comando PSAVE, in modo da ritrovarla già pronta all’apertura di ogni sessione. Un piccolo cicalino montato sul PCB della tastiera era l’unico dispositivo sonoro disponibile.

    Olivetti era molto attenta ai mercati internazionali e diverse versioni nazionalizzate dell’M20 sono state rese disponibili nel tempo. Questo in realtà causò alcuni problemi in quanto i set di caratteri erano diversi per ciascuna versione; infatti alcuni caratteri devono essere adattati se si digita un sorgente BASIC da un manuale in inglese (un esempio è il carattere “#” del set inglese che diventa “£” in francese o in italiano). Il problema fu notato già all’epoca. In una recensione di una rivista francese [4] fu detto che una macchina nazionalizzata fu consegnata con i manuali in inglese perché quelli in francese non erano ancora pronti e la cosa creò qualche grattacapo all’interno della redazione durante i test. Occorre prestare attenzione a questo dettaglio ancor oggi, poiché molti dei manuali disponibili sono solo in inglese [5].

    La maggior parte delle macchine era dotata di un doppio lettore di floppy disk da 5.25″ la cui capacità nominale di 320 KB diventava di 272 KB quando un disco (chiamato “volume” nel gergo del PCOS) veniva formattato. Una particolarità del sistema operativo era che si utilizzava una diversa formattazione della testina 0/traccia 0 (MF, 128 byte/settore) rispetto alle altre tracce (MFM, 256 byte/settore). Esistono diverse configurazioni: un drive Winchester da 11,5 MB (simile all’MFM ST251 che in effetti si può adattare) era disponibile per sostituire uno dei drive per dischetti ed erano acquistabili anche drive per dischi da 160 KB e da 640 KB. In modo un po’ insolito, nella configurazione hardware standard, l’M20 identificava i due drive per dischetti come 1: a sinistra e 0: a destra.
    Un’intera gamma di stampanti era disponibile presso Olivetti: la stampante PR1450S, la PR1450G (G sta per “grafica”), la PR1471, a matrice di punti e la PR2400 termica. L’M20 ha un’interfaccia parallela standard Centronics ma, come per l’interfaccia RS232 e lo schermo, impiega un connettore proprietario a pettine. Una presa di corrente collegata al computer permetteva di accendere automaticamente la stampante o il monitor a colori, il solo che richiedesse un’alimentazione separata al momento dell’accensione del computer.

    L’M20 non fa distinzione tra i modi grafici e i modi di testo, tutto è disegnato in uno schermo grafico con una risoluzione di 512×256 pixel. Ciò offriva una grande flessibilità a scapito di un leggero ritardo in alcune operazioni, come lo scorrimento del testo. Il sistema operativo utilizza una griglia di 64×16 caratteri o una più convenzionale disposizione 80×25. Il modello base era dotato di un display in bianco e nero, ma un’opzione costosa (e quindi abbastanza rara) era il già citato monitor a colori che richiedeva speciali schede di espansione RAM dotate di shift register per effettuare una conversione parallelo/seriale. Questi agivano come una sorta di semplice circuito DMA in grado di inviare i bitplane R, G e B direttamente all’uscita verso lo schermo.
    Lo schermo in bianco e nero era alimentato dal computer con 12 V e utilizza un unico cavo per fornire l’alimentazione e i segnali video. Non è standard, i segnali sono R, G, B, B/N, più V-Sync e H-Sync (tutti con livelli TTL). La sincronizzazione verticale funziona tramite impulsi positivi a 68,2 Hz, quella orizzontale a 18,7573 kHz. Queste frequenze non standard rendono difficile trovare un monitor compatibile se quello originale non funziona correttamente o è assente.

    Il sistema operativo
    Il sistema operativo PCOS appare singolare ed alquanto oscuro se osservato da un un punto di vista moderno, ma non era inferiore al DOS 1.0 di cui era fornito il primo PC 5150 IBM, presentato alla stampa solo 7 mesi prima dell’M20. Il PCOS non disponeva di directory e sottodirectory, ma permetteva di controllare l’accesso ai file con una password, anche se la chiave di protezione non era considerata molto robusta. Si potevano usare abbreviazioni per comandi come ‘VF’ (per ‘VFORMAT’), utile per formattare un nuovo disco. En passant, vale la pena ricordare che questo comando a volte non riusciva a formattare un dischetto già formattato per MS-DOS, per cui una soluzione radicale ma efficace era quella di distruggere tutti i dati precedenti usando una calamita. Una cosa interessante era che il sistema operativo era facilmente configurabile e permetteva di decidere quali comandi mantenere residenti, a seconda della configurazione della memoria e delle proprie esigenze. Sistemi operativi alternativi al PCOS sono stati messi a disposizione da Olivetti. Nell’ottobre 1982, infatti, propose una scheda di espansione chiamata Alternate Processor Board (APB), contenente un Intel 8086 che permetteva all’M20 di eseguire MS-DOS. Degno di nota era il sistema operativo CP/M-86, un adattamento del ben noto CP/M per il processore Intel, che ovviamente richiedeva la scheda APB.

      L’Olivetti M20 utilizzava dischetti standard DS-DD e l’accesso era ragionevolmente veloce, la formattazione completa su un’unità da 320 KB richiede 1 minuto e 18 secondi mentre una copia completa del disco (usando il comando ‘VCOPY’) veniva terminata in 1 minuto e 24 secondi. L’avvio del PCOS 4.1a richiede 27 secondi sulla mia macchina da 512 KB di RAM, compreso il self-test iniziale. In generale, l’M20 è stato ampiamente riconosciuto come una macchina relativamente potente: lo Z8001 era un processore abbastanza avanzato per l’epoca ed il computer fu venduto da Olivetti ad un prezzo interessante. Una versione del Microsoft BASIC era compresa nell’acquisto e la velocità di esecuzione dei programmi sull’M20 era competitiva con l’originale IBM 5150.
      Il successore dell’M20 prese il nome di M24 ed uscì nel 1983, ma questo modello era basato sul processore 8086 e sul sistema MS-DOS. Era una macchina molto efficace e riscosse un vasto e e meritato successo. Olivetti offrì anche per l’M24 una “Alternate Processor Board” con microprocessore Z8001 a bordo e ciò permise a questo nuovo modello di eseguire il PCOS ed il software sviluppato fino ad allora per l’M20. Qualche anno dopo, divenne chiaro, tuttavia, che la campana a morto stava suonando per il PCOS. La versione 4.1a, sviluppata nel 1984, è l’ultima versione di cui sono a conoscenza.

      Il mio M20 e la nascita di un sito web
      La primavera del 1993 fu puttosto soleggiata nella mia piccola città, vicino a Torino. Durante uno di quei pomeriggi apparentemente interminabili che un adolescente si trova ad avere per le mani, dopo la scuola, andai a trovare un amico. Will era un ragazzo molto intelligente ed un chitarrista incredibilmente abile, se si pensa che aveva da poco compiuto solo 14 anni. Il più delle volte, a casa sua, lui suonava ed io cercavo di imparare qualcosa da lui. Quel giorno mi salutò con un sorriso e mi disse: “Dave, ho un computer che potrebbe interessarti”, mostrandomi un oggetto squadrato marrone e beige che giaceva immobile nella sua stanza. “Mio padre l’ha recuperato dal negozio di ricambi per auto qui vicino, volevano gettarlo via perché è vecchio. Non possiamo usarlo: se vuoi, prendilo”. Inutile dire che accettai.

        “Cos’è questo… coso?”, mio padre non era certo entusiasta quando quella sera venne a prendermi in auto e mi vide con quello strano computer. Avevamo già un PC 286, ma avevo visto alcune foto sulle riviste di computer vecchie di più di dieci anni, che leggevo all’epoca. Quella fu comunque la prima volta che vidi un Olivetti M20 di persona e mi piacque subito la sua forma stranamente spigolosa ma elegante.

        Scoprii presto che il mio “nuovo” computer era, in effetti, inutile senza un sistema operativo adeguato. Si accendeva, ma aveva solo due unità disco e nessun disco rigido. Una volta terminato il self-test rimaneva quindi completamente inerte, in perenne attesa. Dopo qualche settimana, chiesi aiuto a Ugo, uno dei nostri vicini di casa dell’epoca. Abitava nella casa accanto a quella dove vivevo con i miei genitori ed era stato lui a insegnarmi praticamente tutto quello che all’epoca sapevo sui computer. Avevo già ricevuto da lui in regalo quelle vecchie riviste di computer che leggevo con tanta soddisfazione ed Ugo venne nuovamente in mio soccorso con la sua solita pazienza e gentilezza, offrendomi dei vecchi dischetti per questa strana macchina. Venne fuori che aveva usato una macchina simile dieci anni prima e la conosceva quindi abbastanza bene.

        Appresi così che l’M20 utilizzava uno strano sistema operativo chiamato PCOS e che potevo giocare un po’ con il Microsoft BASIC in dotazione. Conoscevo già questo “dialetto” del linguaggio BASIC, così passai alcune ore a sperimentare e a disegnare linee e cerchi sullo schermo. Trovai anche alcuni semplici giochi (come quello della figura 4), essenziali ma affascinanti.
        Era divertente, ma senza manuale e informazioni dettagliate, non c’era molto all’epoca che potessi fare. Ho conservato il mio M20 con cura, ma non l’ho usato spesso, almeno fino al 2004. A quel punto vivevo già in Francia e, essendo diventato un utente abituale di Internet, ho pensato che sarebbe stato interessante cercare informazioni sul mio vecchio e bizzarro computer. Scoprii, con piacere, che le scansioni di alcuni manuali erano già disponibili, ma che molte informazioni erano sparse in diversi siti web e anche in modo frammentato.

        Figura 4 – Un clone di Pac-Man

        Così decisi di agire e scelsi una soluzione che era ovvia in un momento in cui su Internet i social network erano ancora di là dal diffondersi: costruii un sito web, scrivendo tutto l’HTML necessario e un po’ di PHP io stesso. È andato online nel 2005 ed esiste ancora oggi [6], con lo stesso look vecchio stile che scelsi allora. Grazie al sito sono entrato in contatto con molte persone interessanti e incredibilmente competenti. L’Olivetti M20 ha una piccola ma devota comunità internazionale. A questo proposito, desidero ringraziare in modo particolare Roberto Bazzano che ospita il sito sui suoi server dal 2007.

        Intorno al 2006, ho cercato di migliorare la mia macchina: aveva infatti bisogno di alcune riparazioni ed era ancora nella configurazione base a 128 KB di RAM. L’alimentatore originale non era più all’altezza e, dopo più di 20 anni, le testine dei drive dovevano essere riallineate. Sono riuscito a contattare un ex-tecnico Olivetti al telefono, che mi ha spiegato la procedura di fabbrica per riportarli in vita. Ho anche studiato gli schemi delle espansioni di memoria e ne ho costruito una con due moduli SIMM recuperati qua e là, portando così la mia macchina ai fatidici 512KB di RAM. Olivetti deve aver usato un sistema CAD primitivo all’epoca, gli schemi elettronici sono incredibilmente difficili da leggere e letteralmente pieni di errori. Sospetto (e spero) che quelli utilizzati per la produzione non fossero quelli che appaiono nel manuale dell’hardware.
        In tutti questi anni ho cercato di aiutare altri utenti dell’M20, cercando di imparare cose nuove e documentando tutto quello che ho fatto con la mia macchina. Pertanto il sito ospita anche i contributi di coloro che sono stati tanto gentili da inviarmi il racconto delle loro esperienze. Non sarebbe stato possibile redigere quest’articolo senza l’aiuto che ho ricevuto attraverso il sito web.

        Conclusione
        In questo articolo ho descritto un computer piuttosto particolare, l’Olivetti M20. Inizialmente molto competitivo rispetto al PC 5150 IBM, fu in definitiva penalizzato sul mercato dalla mancanza di software e forse ancor di più da un mancato riconoscimento commerciale. Ho descritto sia l’hardware che il sistema operativo PCOS-8000 e nell’ultima parte ho raccontato la storia della mia macchina (rappresentata nelle figure) e come ho deciso di costruire un sito web ad essa dedicato. Questo mi ha permesso di entrare in contatto con molte persone di diversi paesi che sono appassionate dell’Olivetti M20.

          Un’ultima nota: ho scritto la prima versione di questo articolo sul mio Olivetti M20 con Oliword 1.2, trasferendo i file con un link RS232 e usando un semplice script bash per rimuovere i codici di controllo. L’editing finale è stato poi completato su un più comodo MacBook Pro.

          Riconoscimenti
          Vorrei ringraziare calorosamente il mio amico William Barbero, che più di 25 anni fa mi ha permesso di recuperare il mio M20. Grazie di cuore anche a Ugo Garombo, che mi ha salvato con i floppy disk e mi ha insegnato a tredici anni cosa fosse un sistema operativo. Ringrazio anche Roberto Bazzano che ha gentilmente ospitato il sito dell’M20 per moltissimo tempo e continua a farlo tuttora.
          La versione in inglese di questo articolo (pubblicato su RMW #02) sarebbe stata probabilmente imbarazzante da leggere senza la gentile e attenta correzione di bozze di Chris Carter, che ha anche scovato alcune imprecisioni. I restanti errori sono miei.

          Bibliografia e riferimenti
          [1] M. Marinacci “Anteprima dell’Olivetti M20”, MC MicroComputer n. 8, Aprile 1982
          [2] W. Marett “Italian micro enters New Zealand business market”, Bits & Bytes n. 9, Giugno 1983
          [3] S. Mello-Grand “Review of the Olivetti M20”, Byte vol. 8 n. 6 Giugno 1983
          [4] X. Bonfils, A. Pinaud, J.-P. Brunerie, “Au banc d’essai Olivetti M20”, L’ordinateur individuel, n. 41, Settembre 1982
          [5] Vedi ad es.: http://www.z80ne.com/m20/index.php?argument=sections/manuals/manuals.inc
          [6] http://www.z80ne.com/m20

          Share

          Lascia un commento

          Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

          Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.