RetroMagazine nr. 24 – Anno: 2020 – Autore: Flavio Soldani
Anno | 1980 |
Editore/Sviluppatore | Nichibutsu |
Genere | Shoot’em up |
Piattaforma | Arcade, Commodore 64, ZX Spectrum, Amstrad, Wii, Playstation 4 |
Sito Web | N/A |
Noi, ragazzini degli anni 70 abbiamo avuto non poche fortune a mio parere. Abbiamo vissuto l’epoca dell’invasione robotica giapponese quando un principe di un altro mondo dentro allo schermo della nostra TV ogni giorno si prodigava a difendere il nostro pianeta dagli invasori di Vega. Quando una sconosciuta e antichissima civiltà del passato sorgeva dalla terra per riconquistare un regno perduto e quando nella nostra giovane mente di adolescenti sognavamo di effettuare agganciamenti cybernetici per diventare possenti robot. Un periodo, quello tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni ’80 dove, grazie a delle fenomenali macchine che arrivavano dall’America, potevano concretizzare i nostri sogni in fantastiche realtà, sempre dentro lo schermo della TV ma agli ordini di un controller che potevamo prendere nelle nostre mani ! In quegli anni quando il Giappone ha saputo riprendersi la sua rivincita post nucleare conquistando il mondo in maniera pacifica grazie all’invenzione delle console da gioco e quando l’America dopo aver mandato gli uomini nello spazio cominciava a rivendere quelle fantastiche idee tecnologie facendole arrivare nelle nostre case sotto forma di personal computer.
Ancora oggi, e voi lettori lo sapete bene, nonostante la tecnologia dei videogames sia arrivata visivamente quasi a toccare la realtà, una partita ai classici del passato è diventata una piacevole consuetudine così da poter riassaporare ancora una volta l’intera storia videoludica in pochi secondi da quando sullo schermo si controllavano pochi pixel agli straordinari mondi open-world tridimensionali di oggi. Ma lo stupore associato a quei cabinati di fine anni ‘70 è ancora vivo dentro la nostra mente quando ogni piccolo passo avanti nel gameplay era letteralmente un grande passo per il media videoludico. Così dopo infinite battaglie con il cabinato di Space Invaders dove le uniche nostre difese erano quelle barriere che secondo dopo secondo si sgretolavano sotto i nostri colpi e sotto i laser degli alieni ecco che Moon Cresta ci regalò un’astronave modulare composta da tre stadi (con il numero chiaramente impresso sulle navette stesse) così come una nuova invasione di navi aliene che pur arrivando in gruppo sapevano muoversi in ogni direzione utilizzando persino semplici e talvolta prevedibili pattern di movimento con l’unico scopo di ridurre tutti i nostri moduli in piccoli rottami dispersi nello spazio.
In Moon Cresta si iniziava con la navetta numero uno, piccole dimensioni e possibilità di sparare un colpo alla volta. Una nave con poca potenza di fuoco ma con la capacità, vista la grandezza, di sgusciare come un’anguilla tra i raggi alieni. Se si veniva colpiti si passava subito al controllo della nave due, la mia preferita, piccola più o meno come la prima ma dotata di un doppio sparo capace di farci credere di essere diventati immortali mentre distruggevano una dopo l’altra le navicelle nemiche. La terza parte della nostra nave, forse la più odiata dai giocatori, era dotata sempre di doppio sparo ma anche di una stazza enorme che purtroppo per noi diventava anche un facile bersaglio per i razzi e le meteoriti nemiche. Ma dove stava l’innovazione di Moon Cresta oltre a non essere uno sparatutto statico (seppur favoloso) come il vecchio Space Invaders ? Beh, se si superava un’orda aliena incolumi ci si poteva agganciare con il modulo immediatamente seguente a quello utilizzato con tanto di sequenza alla Jeeg Robot ! Per farlo dovevamo far combaciare esattamente i punti di aggancio in modo da unire le due navicelle ottenendone una nuova con potenza di fuoco maggiorata!
Semplice ma geniale considerato che si stava parlando della prima volta in cui si poteva fare una cosa del genere sullo schermo di un cabinato a colori, al costo di 200 lire a partita, mentre gli altri giocavano a carte e fumavano sigarette dentro il bar dove fino a poco tempo prima si poteva giocare solo a flipper e al biliardino!
Il massimo ovviamente era riuscire a ricomporre la nave con tutti i suoi componenti nell’ordine corretto ottenendo così una potenza di fuoco fuori parametro (gli spari delle tre navicelle si sommavano). Ovviamente il senso di onnipotenza non durava molto giusto il tempo di rendersi conto che così la nave oltre che offensivamente efficace era comunque troppo grossa per resistere a lungo agli infidi e sempre più letali attacchi nemici. Il gioco infatti proponeva sempre gli stessi livelli in sequenza che una volta superati si dovevano riaffrontare con un maggiore livello di difficoltà.
Giocabilità: 89%
Frenetico e divertente, combatteremo contro astronavi, meteoriti, razzi e formazioni aliene dalle forme strane e minacciose. Collisioni a volte approssimative specialmente ai livelli di difficoltà più elevata a favore della CPU ovviamente.
Longevità: 80%
Moon Cresta è sempre divertente da giocare anche se appartiene al periodo del big bang degli sparatutto spaziale (e dell’intera industria videoludica). Le partite come in tutti gli Arcade di quell’epoca sono intense ma veloci ma a mio parere è consigliabile ancora oggi specialmente nella sua versione Arcade emulata dal MAME.